martedì 26 marzo 2013

Il futuro dell'anima




Non c’è dubbio! Il Futuro è dietro l’angolo. Il Futuro sta arrivando – come sempre d’altronde – ma, questa volta, porta con sé un’equivoca novità: sarà sempre più veloce.
Per l’essere umano – nonostante il fatto che sul piano cosciente possa aderire con entusiasmo ed eccitazione all’accelerazione degli stimoli - le conseguenze inevitabili sul piano inconscio saranno: un’accresciuta superficialità, uno stato di perenne disorientamento e agitazione, la perdita della capacità di produrre sforzi di volontà prolungati nel tempo e, infine, l’indebolimento dell’immagine di sé, costantemente minacciata dal “nuovo” che avanza.
Non credo che sbaglierei più di tanto se affermassi che, a breve termine, si verificherà un aumento delle più classiche sintomatologie psichiche di tutti i tempi e l’irrompere di sindromi del tutto nuove (come, ad esempio, la già perniciosa “dipendenza da PC o dal virtuale”).

Quali saranno le cure? Difficile dire, perché la psicanalisi – che storicamente ha rappresentato il primo significativo accesso alle profondità dell’anima umana e che, appunto per questo, presumeva di poter raffinare i propri strumenti ed estendere a molti le proprie conoscenze – in realtà è stata esautorata, destituita, spodestata… a favore di prassi terapeutiche che, nella migliore delle ipotesi, possono essere  considerate solo delle caricature della prima.

I motivi del suo fallimento sono molteplici e complessi, ma se dovessi azzardare una sintesi estrema oserei dire che la fine della psicanalisi e della psicologia del profondo sia stata decretata dallo svilimento della cultura mitteleuropea e dall’affermarsi, in antitesi, di quella americana. Una cultura – quest’ultima - che, nella sua più intima essenza, è priva di radici, superficiale, ingenua e, soprattutto, drasticamente materialistica (anche là dove proprio non sembra). Le conseguenze dello sradicamento della ricerca psicologica dalla profondità della tradizionale cultura mitteleuropea e l’adesione acritica alla superficialità materialistica della cultura americana, di fatto, ha introdotto nei percorsi di formazione dei nuovi terapeuti (soprattutto italiani) tecniche terapeutiche che hanno il privilegio di apparire intelligenti, sintetiche, efficaci e di facile acquisizione ma che sono risibili di fronte alla profondità e alla complessità dell’animo umano.

Lo svilimento culturale dell’università italiana, gli interessi economici e politici dei soliti “baroni” che la governano e l’ignoranza sostanziale da cui muovono gli studenti provenendo dalla scuola superiore hanno così creato una situazione per la quale non so trovare aggettivi appropriati: in pratica, oggi è sufficiente per chiunque superare una manciata di esami per essere legittimati “Psicologi” e basta pagare (profumatamente) uno qualsiasi dei tanti corsi di formazione psicoterapica ratificati dalla Facoltà di Psicologia per essere riconosciuti come psicoterapeuti e iscritti regolarmente all’albo regionale.

Siamo lontani anni luce da quella base culturale che, in un recente passato, era condicio sine qua non della formazione di uno psicoanalista e che, ben oltre alla materia clinica, gli permetteva di spaziare dalla conoscenza della storia delle religioni alla meccanica quantistica, dalla letteratura classica e moderna alla storia dell’arte, alla filosofia e all’antropologia.
Come se non bastasse, nessuna istituzione scolastica si sognerebbe più, oggi, di giudicare le capacità empatiche del futuro terapeuta, le sue doti di creatività e improvvisazione, le sue qualità morali e – soprattutto – il suo equilibrio psicologico. In altre parole, la sua sanità psichica.
Così, nonostante il parere espresso dai più eminenti trainer di tutti i tempi (una fra tutti: Hilde Bruch) che annoverano l’empatia, la creatività e la moralità tra le doti essenziali di un terapeuta, oggi qualunque studente può pretendere di diventarlo. Per lui sarà sufficiente studiare quel minimo che oggi serve a superare gli esami e pagare la retta delle scuole di formazione convenzionate.

Il risultato è che migliaia di titolati psicoterapeuti si sono riversati sul “mercato della salute psichica” (anche l’anima, oggi, si sottomette alla nomenclatura economica corrente), inconsapevoli o, forse, incuranti di essere poco più che dei miseri tecnici e, giustamente, pretendono di avere a disposizione luoghi di lavoro riconosciuti dallo stato (lo psicologo nelle scuole, lo psicologo di famiglia, ecc…) o di potersi comunque affermare professionalmente. Uno su dieci di queste migliaia sa di che cosa sta parlando quando pratica. Uno su cento conosce davvero se stesso.

Il risultato è che sulle vetrine delle farmacie o delle erboristerie di ogni città o paese italiano, sulle bacheche di compiacenti medici della mutua o medici specialisti, sulle metropolitane, sugli autobus e sulle finestre virtuali di Internet, singoli terapeuti o sedicenti associazioni terapeutiche si presentano sbandierando i più nobili e sacrosanti ideali (ad esempio, il diritto di ogni cittadino alla salute psichica) e offrono i propri servizi al ribasso, come in una vera e propria economia di mercato: le prime due sedute gratis, un “pacchetto” iniziale a costi ridotti, offerte su Groupon di imperdibili occasioni… Il messaggio aggiuntivo è che l’intervento sarà mirato, efficace e soprattutto breve. Anzi brevissimo!

La presunzione di tutte queste affermazioni è pari soltanto alla loro stupidità.

Peccato che gli utenti (come tutti gli psicoterapeuti oramai sono soliti chiamare le persone sofferenti di un qualche sintomo psichico) della complessità di queste problematiche non si rendano neanche lontanamente conto. Per la maggior parte delle persone pressate da un qualche disagio, un terapeuta è un terapeuta. O, almeno, così dovrebbe essere. Nessuno potrebbe mai sospettare che dietro tutta questa offerta si cela un vuoto di contenuto e di spessore che non ha uguali in nessun altra specialistica professionale. Per molti, in oltre, che forse sono quegli stessi che patiscono le maggiori difficoltà economiche in questo paese devastato dalla criminalità di chi ci governa, l’onorario stracciato è una tentazione troppo forte. È difficile per loro applicare nel mercato dell’anima lo stesso lungimirante proverbio che, di fatto, invece, sono soliti usare nel mercato dei beni materiali: “Poco pagare, poco valere!”  In altre parole, molti si lasciano abbindolare, confidando in una rapida soluzione dei loro problemi.

Così, se ancora fino a qualche anno fa erano gli uomini o le donne sofferenti che sentivano il bisogno di rintracciare il terapeuta più competente o più esperto al quale affidare la propria anima e, una volta trovatolo, potevano solo sperare che questi avesse delle ore libere a disposizione, oggi sono i terapeuti ad essere obbligati a scendere nel “mercato” e a cercare i loro possibili pazienti. Accettando il gioco di: “vediamo chi si mette più in mostra” o, meglio ancora, di: “vediamo chi si offre al minor prezzo”. Questa è la realtà della decadente epoca mercantile alla quale tutti partecipiamo e alle cui ferree regole nessuno – ma proprio nessuno - può sperare di sottrarsi. Tutto è stato ridotto a merce: anche la cura dell’Anima. E come merce, appunto, tanto la cura, quanto coloro che la praticano, vanno pubblicizzati se vogliono sperare di essere acquistati.

Speranze per un prossimo futuro? Nessuna!
La violenza delle forze storiche in gioco è immensa e presto, almeno così sospetto, della grande cultura umanista e spirituale europea non rimarrà che un pallido ricordo. C’è solo da augurarsi che qua e là permangano dei piccoli, occulti cenacoli ove l’anima possa nascondersi. L’augurio è che pochi e sparuti individui riescano a conservane il ricordo in vista di un più lontano futuro… quando un’Altra Umanità, liberatasi dalla Peste Economica che oggi devasta e corrompe il mondo, sentirà di nuovo la necessità di conoscere infine se stessa.



lunedì 18 marzo 2013

Disturbi...complessi


La scissione dell’immaginario
erotico maschile


Ha senso continuare a dibattere un tema così dibattuto, appunto, come quello della latente scissione dell’immaginario erotico maschile? Probabilmente no! Ricercatori e colleghi hanno già sviscerato il problema esponendolo poi in relazioni, articoli e saggi di raro acume. Di fatto, tutto quello che poteva essere detto è stato detto e questo articolo potrebbe giustamente sembrare una pedissequa e inutile ripetizione. Credo tuttavia che non si insisterà mai abbastanza nella denuncia della tematica in questione. Non tanto perché si debba o si possa aggiungere, ogni volta, qualcosa di nuovo, quanto piuttosto perché molti degli uomini di oggi, che neppure sospettano la problematicità del proprio vissuto, trovandosi sempre più spesso di fronte a tali denuncie, alla fine possano cominciare a sospettarla.
Se la disamina è abusata, non è detto, però, che non si possa tentare di essere originali: ad esempio rovesciando i consueti nessi di causa ed effetto e presentare alcuni di quegli atteggiamenti interiori ed esteriori che spesso sono considerati “conseguenza” di un determinato agire maschile, piuttosto come spinte e motivi inconsci che quello stesso agire determinano. L’esercizio potrà sembrare sterile, o comunque gratuito – posso immaginarlo… sono tuttavia convinto che alla fin fine ne possano nascere spunti interessanti.
E allora vediamo: cominciando dalla fine, mi sentirei di affermare che il processo evolutivo della psiche maschile, oggi come oggi, è del tutto mancante di almeno un paio di paradigmi che sarebbero invece indispensabili a definirne la progettualità. In altre parole, forse più semplici, direi che l’attuale immagine di “virilità” sia completamente distorta, se non addirittura caricaturale e, dunque, inadeguata a far realizzare ai giovani quella maturità e quell’equilibrio interiore che sarebbero invece indispensabili in una vita adulta.
I motivi di questo stato di fatto sono molteplici e, come ho già dichiarato in apertura di questo articolo, colleghi e ricercatori ben più titolati hanno individuato nella sostanziale mancanza della figura (simbolica e reale) del Padre nella nostra società la radice ultima di tutti questi problemi. Mi fa qui piacere segnalare ai più curiosi dei miei lettori i pregevoli lavori di Claudio Risé: “Il Padre, l’assente inaccettabile” e “Il mestiere di Padre”; il testo di Massimo Recalcati: “Cosa resta del Padre”, quello di Luigi Zoja: “Il gesto di Ettore: preistoria, storia, attualità e scomparsa del Padre”; e, per finire, il bel racconto autobiografico di Stefano Zecchi: “Dopo l’infinito cosa c’è, Papà”.
Come già detto, non ho intenzione di ripetere – magari male – ciò che altri hanno già detto. Più interessante mi sembra, invece, provare a raccogliere le osservazioni e i pensieri espressi da tutti questi autori per individuare i due principali paradigmi la cui assenza – anche secondo me – è responsabile del mancato processo “individuativo” dell’uomo contemporaneo. Questi due paradigmi sono: 1) il senso di responsabilità nei confronti della comunità e 2) il senso di protezione.
Guardiamoci spregiudicatamente intorno… giriamo lo sguardo… ma proviamo a farlo con gli occhi di un giovane di quattordici, quindici, sedici anni… Cosa vediamo? Anzi, no! Cominciamo da ciò che non vediamo: molto spesso – come già detto – non c’è traccia di un Padre degno di questo nome. Di un uomo adulto che si faccia incarnazione del presente storico e che, pur partecipando alla creazione di un prossimo futuro, sappia indicare al figlio, con l’esempio e non con vuote parole, l’importanza del proprio impegno personale nel tessuto sociale. Manca l’uomo adulto che con infinito amore prenda la mano del ragazzino e, adeguando il proprio passo, lo accompagni sulla soglia di uno dei tanti possibili sentieri che il figlio potrebbe scegliere di percorrere per avvicinarsi a quell’orizzonte lontano oltre il quale si nasconde la meta di ognuno di noi. Che lo accompagni fin sulla soglia, e non oltre, trasmettendogli la sua fede incrollabile nelle capacità del figlio di poter raggiungere la meta grazie alle risorse che in lui egli intravede. Manca l’uomo adulto come Presenza amica, come punto di riferimento fisso, certo, indubitabile, inamovibile, inattaccabile… permissivo ma, nello stesso tempo, protettivo, sicuro, difensivo. Porto protetto, faro di luce, rocca granitica da cui il figlio possa muovere verso l’incertezza del proprio domani.
Ecco. Tutto questo, oggi, molto spesso non c’è.
Al suo posto Padri distratti, assenti, lontani, occupati… molto spesso ancora impegnati a ricercare il significato della loro stessa vita. Padri ancora bambini – a volte nonostante l’età avanzata – padri insicuri… oppure ancora padri mancanti di quei contenuti ideali di cui i figli avrebbero invece un bisogno assoluto. Se i Padri biologici sono assenti non meno distorti, però, risultano quelli simbolici: insegnanti demotivati, incapaci e, a volte, autoritari ed arroganti; professori impreparati, oppure assolutisti e dispotici, più interessati al sapere nozionistico dei propri allievi che non alla loro formazione umana e professionale. E, per finire, politici corrotti, bugiardi, spregevoli in qualunque loro manifestazione; ladri, narcisisti, donnaioli di infima categoria.
Sul versante opposto i modelli della notorietà: calciatori strapagati con il fisico palestrato e accuratamente tatuato; rok star dai costumi scostumati e dissacranti; indossatori e modelli dalla bellezza ricercata e vagamente effeminata (nonostante sia volutamente maschilista). E poi ancora attorucoli, paparazzi, show man, ballerini, opinionisti e “tronisti” vari che in un qualche modo hanno occupato la ribalta pubblica e da lì, con un carisma fondato sull’ignoranza e la presunzione, dettano le proprie opinioni come se fossero verità rivelate.
In altre parole è come se l’immaginario delle nuove generazioni fosse colonizzato dal culto della personalità di omuncoli indegni che della propria vuota avvenenza, del pensiero senza fondamento, della furbizia e della mancanza di qualunque scrupolo morale hanno fatto business. Questo è quello che offre il mercato culturale. Sui banchi dell’immaginario non c’è null’altro se non il successo pubblico ed economico dell’esaltazione narcisistica. Il rovescio della medaglia è rappresentato dal fallimento, se non addirittura dall’assenza, dell’Eroe Solare, del Padre le cui gesta ruotano intorno ai valori dell’impegno personale, dell’assunzione di responsabilità, dell’affidabilità certa, granitica, fedele nel tempo… della partecipazione completa fino al sacrificio totale di sé.
Eppure, l’archetipo dell’Eroe Solare non appartiene solo alla storia del tempo che fu. Non è una leggenda “datata” dell’epoca mitica. Piuttosto, è una configurazione archetipa inalienabile, reale e concreta di cui la psiche maschile ha avuto, ha e continuerà ad avere sempre bisogno. Mille analogie e sfumature la collegano all’archetipo del Cavaliere che incarna l’interiorizzazione e la difesa di alcuni valori basilari: quali la purezza, la lealtà, l’onore, l’impegno, la difesa del più debole e, infine, la fedeltà a una donna amata, ad una causa o a Dio.
“La cavalleria – scriveva a tal proposito Chevallier-Geerbrant - dà uno stile alla guerra come all’amore e alla morte: l’amore è vissuto come un combattimento, la guerra come un amore e ad ambedue il cavaliere si sacrifica fino alla morte lottando contro tutte le forze del male…L’ideale cavalleresco sembra inseparabile da un certo fervore religioso”
Questi, insomma, erano i paradigmi sui quali, soltanto fino a poco tempo fa, si modellava la virilità dei ragazzi durante la crescita… paradigmi che oggi – per tutta una serie di motivi che sarebbe troppo lungo illustrare – sono precipitati nelle tenebre dell’inconscio collettivo e individuale.
Il risultato di questa mancanza sul piano della coscienza ordinaria è che il modello di virilità a cui possono ispirarsi i ragazzi di oggi nel corso della loro evoluzione non è più quello della Virilità Olimpica (secondo l’accezione del termine usata da Bachofen) bensì quello della Virilità Ctonia o Fallico-narcisitica (così ben descritta da Alexander Lowen).

Molte attuali patologie del vissuto erotico maschile, pur non originando direttamente da quanto sopra descritto, traggono tuttavia nutrimento e rafforzamento da questo modello distorto di virilità.
È il caso, ad esempio, della sindrome dell’amatore compulsivo che abbraccia tutte le gradazioni che vanno dal “Casanova” al “Don Giovanni”.
Ora sia chiaro: i primi passi mossi dai ragazzi in quella che sarà la loro vita adulta futura non possono (e non dovrebbero) evitare di essere condizionati e spinti dalla Libido – anche in maniera cieca e violenta – verso la volubilità, l’instabilità e addirittura la promiscuità delle prime esperienze erotiche. Occorre molto tempo al giovane uomo per sentirsi sicuro delle proprie capacità virili e per soddisfare la propria naturale curiosità verso quel “misterioso pianeta” rappresentato dalle donne. Questa perciò sarà l’epoca “fisiologica” delle mille avventure, degli incontri mordi-e-fuggi, oppure degli “amori eterni” bruciati nel giro di poche settimane. Questa è l’epoca della leggerezza nonostante tutto, della novità ad ogni costo, della passione “a tempo determinato”, della frenesia, dell’ingordigia, e della voluttà insaziabili.
Ma ciò che è fisiologico a una certa età diviene patologico ad un’altra… Non c’è ovviamente un limite d’età vero e proprio ma, in generale, dovremmo immaginare che il fuoco della Libido dovrebbe pian piano andare scemando di estensione e aumentare invece di calore e di stabilità. E’ un momento magico nella vita di un uomo o, almeno, dovrebbe esserlo: è il momento in cui egli dovrebbe saper convogliare il suo “desiderare” verso un’unica donna che diverrà così il simbolo vivente di tutte le donne possibili e immaginabili. Verso quest’unica, sola donna dovrebbero allora potersi dirigere le sue forze di uomo adulto maturando responsabilità, affidabilità e protezione.
Solo queste qualità realizzano la pienezza della virilità maschile rivelandosi, a lungo termine, non solo o non tanto doni benefici per la donna e i figli che li ricevono, quanto piuttosto motivi intimi e segreti di stabilità, equilibrio e dignità per l’uomo capace di esprimerli.
È ovvio che – alla luce dei nuovi tempi - c’è sempre spazio per accorgersi di possibili errori di valutazione, di scelte avventate, di inganni subiti o di speranze mal riposte. Nell’epoca dell’anima cosciente, il cammino che conduce all’amore sacro è complesso e irto di errori. Tuttavia la stella cometa che indica il cammino dell’uomo virile dovrebbe risuonare della capacità di sacrificare le parti egoiche e infantili di sé e del naturale desiderio di proteggere gli esseri amati. Solo queste potenzialità possono giustificare gli eventuali errori commessi e legittimare il desiderio, ogni volta, di ricominciare una nuova avventura.
Molto spesso, però, non è questo il caso. Piuttosto gli uomini moderni si attardano nell’età della spensierata giovinezza cumulando storie, incontri e avventure delle quali è difficilissimo, se non impossibile, cogliere un qualunque autentico significato. Come ho accennato all’inizio di questo articolo, l’impulso può derivare sia da un atteggiamento ludico e giocoso fine a se stesso – come quello che viene descritto metaforicamente nelle sindromi di Peter Pan e Casanova – e che Jung ha legato invece all’archetipo del Puer Aeternus, così come da un atteggiamento compulsivo di rapina e conquista – come quello espresso dalla figura di Don Giovanni – il quale ultimo, al di sotto di un evidente collezionismo numerico, mal nasconde un’ansia di prestazione che rasenta l’impotenza vera e propria. Tra questi due estremi, tutte le gradazioni possibili e immaginabili che oggi sono rintracciabili nel vissuto più o meno sconclusionato di molti uomini moderni.

La patologia opposta, almeno per quello che mi è dato sapere, non risponde ad una nosografia clinica specifica, anche se presenta un margine di diffusione altrettanto significativo della prima e sottende una maggiore pericolosità. Per subito intenderci, mi riferisco qui a quella scissione dell’immagine femminile presente nella struttura psichica di molti uomini a causa della quale essi distinguono e  separano - più o meno coscientemente – la “brava donna” di famiglia, casta e pura, spesso madre dei propri figli, dalla donna di piacere e dai facili costumi. La prima forzatamente immaginata virtuosa e morigerata, interprete di una sessualità “accademica”, inadeguata a realizzare giochi trasgressivi e priva di qualunque licenziosità erotica. In pratica una “santa donna” che non dovrebbe neanche lontanamente essere offesa costringendola a chissà quali capriole.
Queste, piuttosto, sono la specialità della seconda, la donna di piacere, la meretrice, la sgualdrina vogliosa, la cui turpe colpa – è incredibile questa fantasia maschile - sarebbe proprio quella di desiderare le stesse cose che l’uomo desidera e di provare (anche lei) piacere nel realizzarle. Con ciò, ovviamente, esaltando la voglia e il desiderio dell’uomo.
Credo che al fondo di questa ignominiosa “capriola psichica” di alcuni uomini moderni si nasconda, in verità, una terribile paura dell’eros femminile che, appunto per questo, deve essere depotenziato e offeso attraverso un pre-giudizio moralistico. La paura però – si badi bene – non riguarda l’esuberanza o gli eccessi dell’eros femminile in quanto tali (da questi infatti si viene sedotti), quanto piuttosto dal fatto che “tutte le donne” possano esprimerli. Questo, infatti, è il pensiero tremendo: che tutte le donne possano nascondere un’incontenibile focosità erotica. D’altra parte, un libero riconoscimento e un sano apprezzamento dell’universalità dell’eros femminile costringerebbe l’uomo a dover fare i conti con la figura della madre e a riconoscerla – in quanto donna – portatrice potenziale di quegli stessi impulsi. Questo è il pensiero inconscio, ma inaccettabile, di molti uomini che – incapaci di portarlo a coscienza - lo risolvono spesso operando una terribile scissione nel proprio immaginario.
Da una parte le Madri, caste e pure, desessualizzate, “angeli del focolare” con le quali si può copulare solo per mettere “su” famiglia e ottemperare così alle aspettative della Patria o di Dio; dall’altra parte le “Poco-di-buono”, le donne di malaffare, quelle “facili” e puttane proprio perché capaci di desiderare il sesso e di provarvi piacere.



Ed è ovvio, allora, come solo con queste ultime l’uomo possa lasciarsi davvero andare e mostrare tutta la propria esuberanza, la propria fantasia, la propria lascivia…
La verità, anche se nessun uomo “scisso” lo ammetterebbe mai sul piano cosciente, è che la loro stessa sessualità è ambivalente. E anziché essere sempre percepita da questi uomini come un’espressione di gioia, di piacere e di rispetto – anche là dove si esprime nella fantasie più azzardate – si scinde appunto in una “sessualità sporca” che viene però proiettata sulle donne con cui essi riusciranno ad esprimerla, e una “sessualità pulita” che viene invece condivisa con le donne che saranno le madri dei loro figli.
Non è incredibile? Siamo nel 2012… ostentiamo una modernità che sarebbe il risultato di una lunga evoluzione culturale, politica e religiosa… e alcuni di noi uomini si comportano né più né meno come i più fanatici dei Talebani. Qualcosa non deve aver funzionato in occidente se nel mio studio di psicoterapia, soprattutto in questi ultimi anni, sono sfilati non pochi uomini con manifeste problematiche di questo tipo. Certo… non sempre la gravità della situazione è ai massimi livelli. Molti uomini vivono la propria maturità “accontentandosi” delle proprie donne-mogli-madri dei propri figli e solo occasionalmente si lasciano afferrare da una qualche tentazione trasgressiva. In apparenza saremmo lontani anni luce da coloro che, invece, relegano la propria donna in casa e dividono il loro tempo tra mille e una fidanzate. Ma, appunto, è solo apparenza. In realtà il tema di fondo è il medesimo: l’incapacità di con-dividere con la propria donna le fantasie più segrete, i giochi più azzardati, i bisogni più vergognosi. Come conseguenza di questa mancata con-divisione, la scissione interna ed esterna dei due partner si allarga e si approfondisce, andando ad interessare ambiti sempre più significativi di quella che dovrebbe essere considerata una vita in comunione.
Lentamente, ma inesorabilmente, gli interessi e i desideri dell’una e dell’altro si andranno diversificando, le forze migliori dei due partner verranno impiegate per inseguire progetti fin troppo distanti e alla fine - non sempre, ma molto spesso - i due coniugi, piuttosto che con-vivere, finiranno per coa-bitare sotto lo stesso tetto. Con ciò perpetuando la patologia di generazione in generazione: perché l’uomo-padre tenderà sempre più a scomparire e ad assentarsi dal vissuto dei propri figli (maschi o femmine che siano... anche se qui ci interessa solo il vissuto dei figli maschi). Mancherà di trasmettere loro, attraverso le parole, gli sguardi e i gesti quotidiani, quel sano desiderio che un uomo dovrebbe sempre riversare sulla propria donna. E i figli così abbandonati, cresciuti da una madre privata del proprio uomo, dovranno difendersi dalle aspettative incestuose (ancorché inconsce) che essa proietterà su di loro. Si difenderanno come potranno: spesso scindendo il proprio immaginario, che si comporrà così di “Femmine caste e pure”, intoccabili come le proprie madri, e “Femmine lascive”, sulle quali proiettare la parte migliore e la parte peggiore della propria libido.
Con ciò il cerchio si chiude, lasciando ognuno dei protagonisti del dramma da solo con i propri fantasmi. Solo la presa di coscienza dell’uomo divenuto finalmente adulto potrebbe spezzare il “cerchio malefico”… La presa di coscienza di un uomo che divenisse perciò capace di esprimere impegno civile, fedeltà ai propri cari e protezione… ma che non mancasse di fondare tali qualità interiori sulla spregiudicatezza, sulla curiosità e sul rinnovato desiderio di esplorare insieme alla propria compagna di vita gli orizzonti infiniti dell’Eros.
Per quanto possa sembrare incredibile in un’epoca intellettualizzata come quella di oggi, un tale uomo – che vivesse tali contenuti più che pensarli - non avrebbe bisogno di molte parole o di chissà quali gesta per educare i propri figli: gli basterebbe essere loro vicino.