domenica 19 settembre 2010

L'Uomo è un essere invisibile

Garantisco il lettore che questo non è un articolo di fantascienza né tantomeno di New Age, bensì un articolo di psicologia del profondo il cui autore non è affetto da psicosi delirante, è sobrio e vanta una formazione scientifica di tutto rispetto. Solo che, per quanto pazzesca, assurda o azzardata quest’affermazione possa sembrare, la verità è che tutti noi, uomini e donne che abitiamo questo pianeta, essenzialmente siamo gli uni invisibili agli altri. Questa però non è una metafora, un’allegoria o un’immagine retorica, bensì un fatto. Un dato incontestabile, anche se pochissimo evidente – bisogna ammetterlo – della natura ultima delle realtà.
Ma procediamo con ordine, e verifichiamo l’attendibilità di questa mia affermazione.


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venerdì 17 settembre 2010

Rubrica di storie cliniche


Perché raccontare storie di dolore e sofferenza? Perché divulgare segreti intimi e dinamiche perverse che tutti ci sforziamo di occultare, molto spesso addirittura a noi stessi? Perché esporre ferite, tradimenti, mancanze d’amore, egoismi, violenze subite o perpetrate? Perché svelare “l’umano, troppo umano” e rendere visibile l’invisibile?
La risposta generica che esiste una vera e propria tradizione in tal senso e che molti psicanalisti – spinti da impulsi accademici o letterari – hanno spesso divulgato le “storie” che sono loro sembrate più significative, non mi aveva mai accontento. Perciò, prima di creare questa rubrica, mi sono posto di nuovo la domanda e la risposta che mi sono dato, alla fine, è stata duplice: di sicuro c’era il mio piacere di scrivere e raccontare. E, forse, anche una malcelata frustrazione del desiderio di potermi dedicare a tempo pieno a questo piacere… Ma, soprattutto, c’era la voglia di condividere con tutte le persone sensibili lo stupore, la meraviglia o la commozione dalle quali spesso vengo afferrato nell’esercizio della mia professione. Quando divenni terapeuta, infatti, e mi affacciai per le prime volte sul mondo dell’anima umana, scoprii paesaggi inusitati, sconcertanti, affascinanti e terribili nello stesso tempo. Ne rimasi stregato. Fu allora che promisi a me stesso che avrei smesso di esercitare non appena avessi finito di meravigliarmi. Sono passati 35 anni ma la meraviglia non ha ancora smesso di travolgermi, quasi ogni giorno: tutte le volte che un uomo o una donna mi giudicano degno di essere testimone della loro storia più intima. Perché ogni volta, nonostante i lunghi anni di attività, nonostante la ripetitività sempre uguale delle dinamiche psichiche, ogni volta vengo sorpreso dalla imprevedibilità e dalla originalità con cui questi motivi si dispiegano nel vissuto privato di ogni singola individualità. E poi: quanto dolore! Quanti sforzi titanici! Quanto coraggio! Quanto amore profuso e quanto amore sprecato…
Io non guardo la televisione e leggo poco i giornali. Il motivo per cui mi disinteresso di tutto ciò, al di là dei tanti facili luoghi comuni, il motivo vero è che sono oramai assuefatto ad una visione così profonda della realtà umana che tutto il resto, in confronto, mi sembra superficiale, ingenuo e decisamente sciocco. Povera cosa se paragonato all’intensità e alla violenza delle forze da cui dipendono i destini individuali e la cui estrosità, ancora oggi, mi stupisce e mi commuove.
Per tutto ciò vogliate leggere questa rubrica come un dono generoso che uomini e donne sconosciuti, attraverso di me, hanno voluto lasciarvi. I loro dati personali – genere, età, nomi e cognomi, professioni – sono stati da me tutti alterati per proteggere le loro identità, ma le storie sono assolutamente vere. Semmai, certi meccanismi psicodinamici potranno sembrare meno straordinari ed incredibili di come in realtà si sono manifestati. Ma posso assicurare che la responsabilità è dovuta, in parte, all’artefazione dei dati biografici e alla necessità dell’estrema sintesi in cui ogni volta ho dovuto costringere gli eventi di una intera vita; e in parte invece alla mia imperizia. Ne chiedo scusa. Ma è doveroso a questo punto riconoscere che per quanto uno scrittore dilettante come me si possa sforzare, difficilmente potrebbe competere con la saggezza, l’originalità e l’accuratezza con cui la Vita ricama il destino di ogni essere umano sull’ordito del mondo. Mi resta tuttavia la speranza che quanto mi sforzerò di riportare, in un qualche modo, possa comunque riuscire ad incuriosire e a stimolare. Perché leggere queste storie, per molte persone, potrebbe essere un’occasione unica per comprendere che le proprie personali vicende non sono poi così anomale, vergognose o perverse come magari hanno sempre creduto, ma solo leggermente diverse da quelle di tanti altri. E che se molti di questi “altri” sono riusciti a superare le proprie difficoltà, non è detto che un giorno, anche loro, non potranno superare le proprie.






La domanda nascosta


Tutti coloro che superando le proprie resistente decidono di rivolgersi ad un terapeuta, in genere arrivano alla prima ora con una precisa domanda. Tuttavia, la domanda con la quale di solito si presentano difficilmente è quella autentica. La domanda profonda, quella vera, la domanda straziante che grida la propria urgenza e chiede di essere ascoltata e risolta, quasi sempre è nascosta nei meandri del loro inconscio e occorre molta pazienza da parte di un terapeuta per riuscire a farla emergere.
Quando il dottor Mario Rossi, 49 anni, medico ortopedico in uno dei tanti ospedali di Roma, si presentò al mio studio, erano già due anni che viveva separato dalla propria moglie. Una donna che, dopo averlo tradito ripetutamente durante i 22 anni di matrimonio, lo aveva infine lasciato per andare a convivere con un uomo molto più anziano di lei, volgare e violento. Un uomo – raccontava lei stessa all’ex-marito con lunghe telefonate e patetiche mail – del quale non si sentiva certo innamorata ma, piuttosto, irresistibilmente attratta. Un uomo meschino e crudele che, tuttavia, sembrava trattenerla in una sorta di incantesimo dal quale lei non riusciva a liberarsi.
Perciò, quando il dottor Rossi si sedette sulla poltrona del mio studio ed ebbe esposto in maniera sommaria questa loro problematica situazione, la sua prima domanda fu:
- Cosa posso fare per aiutare mia moglie? Io la amo tantissimo… Al punto che, se fossi sicuro che ora è davvero felice, mi tirerei volentieri da parte. Ma non credo affatto che lei sia felice. Cosa posso fare? Come posso farle comprendere che, oltre ad aver rovinato il nostro matrimonio, Maria sta soprattutto rovinando la propria vita futura?
In effetti il dottor Mario Rossi, seduto davanti a me, almeno in quella prima ora, non manifestava rancore, gelosia o desiderio alcuno di vendetta… solo un immenso, infinito dolore. Davvero voleva essere aiutato ad aiutare la propria moglie? Davvero voleva solo la felicità di quella donna e sarebbe stato pronto a sacrificarle i propri sentimenti? Mi sembrava poco probabile.
Ci accordammo comunque per iniziare un percorso psicoterapico. Durante le prime quattro o cinque sedute successive ebbi modo di conoscere la sua storia pregressa e scoprire così la domanda segreta che si agitava nella sua anima e che lo aveva condotto nel mio studio.
Mario era stato il primo figlio di una coppia romana benestante la quale però, dopo averlo avuto, non sembrava troppo desiderosa di ulteriori esperienze genitoriali. Dunque, fu solo per un “incidente” amoroso che, all’improvviso, quando Mario aveva oramai già sette anni, gli fu annunciato l’arrivo di una sorellina. Il bambino, tuttavia, fu preparato con cura all’evento e invitato ad essere amorevole e responsabile nei confronti di colei che presto sarebbe arrivata.
Il parto, stando ai ricordi del mio paziente, fu del tutto normale; la sorellina si presentò al mondo sana, vispa e bella; e i genitori di Mario, tutto sommato, sembrarono felici di rimboccarsi le maniche e ricominciare tutto da capo, con i ciucci, le ninne-nanne, i biberon e i pannolini sporchi.
La bambina, però, fin dai primissimi tempi, manifestò una notevole difficoltà di adattamento: dormiva poco, piangeva spesso e accusava malesseri di tutti i tipi. In casa non si era mai tranquilli. Gli anni passavano, la piccola cresceva ma le cose non cambiavano: una sorta di malsana sensibilità sembrava perseguitarla, impedendole di interpretare la vita con quella leggerezza che sempre dovrebbe caratterizzare l’infanzia.
La vita familiare, comunque, procedeva.
Quando Mario aveva da poco compiuto i 15 anni e frequentava il primo ginnasio, un grave lutto si abbatté sulla famiglia: nel giro di pochi mesi la madre morì di leucemia. E la sorellina, che ne aveva solo 8 e – come abbiamo visto - manifestava un carattere già molto instabile, a seguito dell’evento peggiorò visibilmente. Mario, pur frequentando la scuola e risultando sempre tra i primi della classe, si faceva in quattro per la sorella senza tuttavia riuscire a tranquillizzarla più di tanto. Dopo alcuni anni il padre, incapace o, forse, impossibilitato a prendersene cura nei modi e nei tempi che a lei sarebbero serviti, pensò bene di metterla in un collegio. Fu in questo ambiente che maturò il destino già tormentato e inquieto della sorella di Mario; fughe rocambolesche, punizioni disciplinari. Atti provocatori e ribelli, altre drastiche punizioni. Ancora fughe… punizioni sempre più severe, in una escalation che non sembrava poter mai più terminare. Mario, pur continuando a studiare, si disperava per il destino della sorella e tentava perciò con frequentissime telefonate e visite continue di farle sentire la propria vicinanza.
Passarono altri anni. Mario si iscrisse e frequentò la facoltà di medicina. La sorella uscì dal collegio, cominciò a frequentare il liceo artistico e – ancor giovanissima – si gettò in una vita dissoluta di precoci rapporti sessuali e droghe di ogni tipo. Il rapporto tra i due fratelli, tuttavia, era fortissimo.
Mario aveva da poco compiuto i 26 anni quando riuscì a specializzarsi in ortopedia.
“Ora, finalmente, avrò più tempo da dedicare a mia sorella – pensò Mario in quella occasione – Le cose si sistemeranno e anche lei troverà la sua strada”
Si potrebbe dire che non fece in tempo neppure a pensarlo: la giovane, dopo la partecipazione ad un rave scatenato, morì improvvisamente per overdose da eroina. Lo shock, per Mario, fu terribile. Forse peggiore di quello vissuto per la morte della propria madre.
La vita però deve sempre continuare. Comunque. In un modo o nell’altro… Dopo un paio di anni il promettente e giovane medico incontrò una giornalista freelance… intraprendente, anticonformista e… molto bella. Fu subito amore. Dopo pochissimo si sposarono. Per un po’ di tempo vissero felici e contenti. La giovane giornalista si ricavò un posticino nel mondo dello sport e, per lavoro, cominciò a viaggiare per tutta l’Italia. A volte si assentava per due o tre giorni… ma presto Mario cominciò a sospettare che quelle assenze non fossero così innocenti. O, almeno, non solo. Nel giro di qualche anno i sospetti divennero certezze: la moglie lo tradiva. Ripetutamente. Con uomini sempre diversi. Cominciò così il nuovo calvario di Mario: quello di riportare la moglie sulla retta via. Mettendo da parte il proprio orgoglio ferito, la propria gelosia, la propria rabbia… provando in tutti i modi ad aiutare la giovane moglie a trovare una dimensione di autenticità e di possibile felicità. Vissero così per più di dieci anni, fino al giorno in cui la donna trovò un uomo il cui atteggiamento, in un qualche misterioso modo, si incastrò con la di lei nevrosi, inducendola ad abbandonare il marito e a seguirlo per un diverso destino.
Quando il dottor Rossi arrivò a questo punto del suo racconto, mi guardò in silenzio per alcuni minuti… Poi, con gli occhi umidi di lacrime mal trattenute, mi chiese:
- Lei crede che io mi senta in colpa per la morte di mia sorella, vero? E che attraverso la storia con mia moglie, la cui nevrosi, per certi versi, ricorda quella di mia sorella, io stia percorrendo una medesima esperienza di salvazione… forse cercando un riscatto impossibile?
Il suo viso era una maschera di dolore. Dolore allo stato puro.
- Si – risposi commosso – questo è esattamente quello che sospetto.
- Mi crede dottore? Fino a pochi istanti fa non avrei neppure immaginato una cosa del genere.
- Ne sono convinto, non si preoccupi. Altrimenti oggi lei non sarebbe qui.
Fu in questo modo che il dottor Rossi vide emergere del tutto spontaneamente la sua vera domanda dagli abissi dell’anima: sono forse colpevole della morte di mia sorella? Avrei potuto aiutarla più di quanto abbia fatto? E se non lo sono, è giusto che io abbandoni la mia ex-moglie al suo destino dopo tutto quello che ho sopportato e fatto per lei senza mai ricevere riconoscimento alcuno?
Giunti a questo punto, la sua analisi prometteva davvero bene: la parte più difficile (il distacco reale dalla moglie e la possibilità di cominciare una nuova vita) era ancora tutta da sviluppare. Ma l’ostacolo più grosso, quello rappresentato dalla presa di coscienza dei motivi inconsci che fino a quel momento lo avevano profondamente condizionato, era stato superato.
C’era di che sperare!

Vademecum per salvarsi la Vita… Psichica


Sembra incredibile: nell’epoca della più veloce, ampia ed esaustiva informazione possibile, messa a disposizione di chiunque desiderasse averla, sono invece pochissime le persone che potrebbero affermare di conoscere la differenza che intercorre tra gli ambiti operativi della psichiatria, della psicologia, della psicanalisi o della psicoterapia. Oppure le profonde differenze che intercorrono tra molti di questi “strumenti” terapeutici che solo l’etimologia della prima componente del nome (Psyké) rende similari. Eppure, se non proprio di tutti gli uomini o di tutte le donne moderne, questo dovrebbe pur essere un interesse specifico se non altro di quanti intendessero usufruire di un “trattamento” psicologico. Ma un attento esame della realtà ci dice che le cose non stanno affatto così, e che molte persone, pur nella massima buona fede, spesso si affidano ciecamente a terapeuti di cui non conoscono né la formazione né, soprattutto, i presupposti conoscitivi della loro formazione.
Dovrebbero?
Credo di si! L’epoca della fiducia nel “ruolo” è tramontata da un bel pezzo, e così come essere madri o padri naturali non garantisce della capacità di svolgere adeguatamente i propri compiti, così come essere insegnati o professori di ruolo non certifica della capacità di educare dei giovani, così come l’appartenenza stessa ad un genere, maschile o femminile, non rivela un gran che della capacità di essere uomini o donne, così, tanto più, essere psicologi o psicoterapeuti - oggi più che mai – non racconta nulla dell’equilibrio psichico raggiunto, dei presupposti conoscitivi appresi nel corso della propria formazione o della “padronanza dell’arte” necessaria per strappare i propri simili dalle difficoltà nelle quali essi versano.
Di qui l’idea di questo piccolissimo breviario che possa servire come “guida di viaggio” agli intrepidi argonauti che vogliano ancora credere e sperare di poter conquistare il “Vello d’oro” (termine arcaico con cui veniva indicata la Realizzazione Interiore e la Salute dell’Anima).
La neurologia è quella branca della medicina che studia le patologie inerenti il SNC/Sistema Nervoso Centrale (cervello, cervelletto, tronco encefalico e midollo spinale); il Sistema Periferico Somatico (radici e gangli spinali, plessi e tronchi nervosi) ed il SNA/Sistema Nervoso Periferico Autonomo (gangli simpatici e parasimpatici, plessi extraviscerali ed intraviscerali). Fino agli anni settanta in Italia la trattazione delle malattie del Sistema Nervoso includeva in un unico "corpus" sia le patologie della mente che le patologie "organiche", per cui la disciplina allora professata era definita "neuropsichiatria". Anche grazie alla riforma ispirata da Franco Basaglia, i due ambiti vennero articolati, scientificamente, clinicamente e didatticamente, in neurologia e psichiatria. Il vero e proprio ambito della neurologia sarebbe perciò rappresentato dalle patologie organiche del sistema nervoso centrale e periferico, come ad esempio la sclerosi a placche o la SLA.
La psichiatria è la branca specialistica della medicina che si occupa della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali, dal punto di vista teorico e pratico. Essa è definibile come una "disciplina di sintesi" in quanto il mantenimento e il perseguimento della salute mentale, che è lo scopo fondamentale della psichiatria, viene ottenuto prendendo in considerazione diversi ambiti: medico-farmacologici, psicologici, sociologici, politici, giuridici. La psichiatria è una pratica medica focalizzata prevalentemente sull'uso dei farmaci, con l'utilizzo accessorio di metodologie altrimenti tipiche della psicologia, che invece è la disciplina che studia il comportamento degli individui e i loro processi mentali. La psichiatria si distingue inoltre dalla psicologia anche per il diverso corso di studi. E infatti, volendo essere rigorosi, uno psichiatra che volesse usare le tecniche psicanalitiche, dovrebbe prima superare uno specifico training analitico, e non “improvvisare” come invece, purtroppo, spesso accade nel nostro bel paese.
La psicologia è la scienza che studia il comportamento degli individui e i loro processi mentali. Tale studio riguarda in maniera solo approssimativa le dinamiche interne dell'individuo (che sono invece di spettanza della psicanalisi), e in maniera approfondita i rapporti che intercorrono tra l’individuo e l'ambiente, il comportamento umano ed i processi mentali che intercorrono tra gli stimoli sensoriali e le relative risposte. Attualmente la psicologia è una disciplina composita, i cui metodi di ricerca vanno da quelli strettamente sperimentali (di laboratorio o sul campo) a quelli più etnograficamente orientati (ad esempio: alcuni approcci della psicologia culturale); da una dimensione strettamente individuale (ad esempio: studi di psicofisica, psicoterapia individuale, etc.), a metodi con una maggiore attenzione all'aspetto sociale e di gruppo (ad esempio: lo studio delle dinamiche psicologiche nelle organizzazioni, la psicologia del lavoro che impiega i cosiddetti "gruppi focali", etc.). Queste diversità di approcci ha prodotto un'articolazione di sottodiscipline psicologiche, con differenti matrici epistemologico - culturali di riferimento.
La psicoanalisi (da psiche, anima, più comunemente "mente", e -analisi: analisi della mente) è la teoria dell'inconscio su cui si fondano una prassi e una disciplina psicoterapeutiche, e che ha preso l'avvio dal lavoro di Sigmund Freud. Innanzitutto essa è una teoria dell'inconscio. Nell'indagine dell'attività mentale umana essa si rivolge soprattutto a quei fenomeni psichici che risiedono al di fuori della coscienza. Viene perciò implementato il concetto di inconscio, introdotto nella riflessione teoretica già da Cartesio, Locke e Leibniz, e che Freud rielaborò da un punto di vista descrittivo e topico sulla base delle sue esperienze con Jean-Martin Charcot. In secondo luogo la psicoanalisi è una prassi terapeutica. Avrebbero perciò il diritto di appellarsi “psicanalitici” solo ed esclusivamente quei trattamenti fondati sulle dinamiche inconsce e sull’analisi del Transfert come ad esempio è per la Psicanalisi classica di Freud, la Psicologia del Profondo di Jung, la Bioenergetica di Reich o quella di Lowen, la Logoterapia di Frankl e tante altre ancora.
La psicoterapia è molto più recente e, spesso, di origini trans-oceaniche (Stati Uniti d’America). Si occupa della cura di disturbi psicopatologici di diversa gravità che vanno dal modesto disadattamento all'alienazione profonda e possono manifestarsi in sintomi nevrotici oppure psicotici tali da nuocere al benessere di una persona fino ad ostacolarne lo sviluppo causando fattiva disabilità; a tal fine si avvale di tecniche applicative della psicologia dalle quali prende specificazione: psicoterapia cognitivo-comportamentale, psicoterapia della gelstat, psicoterapia transazionale, psicoterapia strategica breve,  ecc. In Italia la psicanalisi è stata fatta rientrare un po’ forzatamente nelle psicoterapie con il termine di psicoterapia psicanalitica. Professionalmente, sempre in Italia, la psicoterapia è una specializzazione sanitaria riservata a Medici e Psicologi iscritti ai rispettivi Ordini professionali e si consegue mediante un percorso formativo presso scuole di specializzazione universitarie ovvero in scuole di specializzazione private. Etimologicamente la parola psicoterapia - "cura dell'anima" - riconduce alle terapie della psiche realizzate con strumenti psicologici quali la parola, l'ascolto, il pensiero, la relazione, nella finalità del cambiamento consapevole dei processi psicologici dai quali dipende il malessere o lo stile di vita inadeguato e connotati spesso da sintomi come ansia, depressione, fobie, etc.
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Sperando con tutto il cuore di essere stato fin qui sintetico e, soprattutto, comprensibile, mi permetterò ora di complicare ulteriormente le cose riportando non solo le differenze di fondo che separano le terapie psicanalitiche da tutte le altre, bensì anche quelle più significative che separano una prassi psicanalitica dall’altra.
Tanto per cominciare credo che sia fondamentale sapere che mentre le terapie psicanalitiche partono dal presupposto che il disturbo – quale che esso sia – affonda le sue origini nello sviluppo evolutivo della nostra psiche, e che perciò abbia un senso e un significato che bisogna comprendere se si vuole davvero liberarsene, non è necessariamente così per la maggior parte delle psicoterapie che si sforzano invece di affrontare il sintomo prescindendo dalle sue origini e, dunque, necessariamente, da qualunque suo possibile significato.
Non è questo il luogo per alimentare sterili polemiche, ma è fondamentale sapere che mentre nessun psicanalista “aggredirebbe” un sintomo (per quanto doloroso) finché continua ad esercitare la sua funzione all’interno dell’equilibrio psichico del paziente, non è così per la psicoterapia che tenta di liberare il paziente dal sintomo partendo dal presupposto che esso sia un “accidente” più o meno occasionale intervenuto a disturbare la vita psichica di quest’ultimo. Per dovere di correttezza bisogna ammettere che “guarigioni” di questa natura di fatto avvengono (con un risparmio più che considerevole di tempo e denaro sul percorso psicanalitico)… resta solo da vedere – e lo resterà sempre – se il risultato ottenuto sia in effetti il migliore per la vita ulteriore (organica, psichica e morale) delle persone così curate. Ma su questo ognuno è libero di pensarla come meglio crede.

Entriamo ora nel vivo delle psicoterapie psicanalitiche e proviamo ad immaginare che, lungi dall’esaurirsi nel maggiore o minore risvolto dato alla sessualità o alla volontà di potenza, oppure ancora nella diversissima impostazione del setting terapeutico, le varie scuole di psicanalisi si distinguono soprattutto per i polari ed opposti presupposti antropologici da cui prendono l’avvio. Cosa che, se avete capito bene a cosa alludo, non si può certo considerare marginale.
Così – tanto per fare alcuni esempi – se per la Psicanalisi Classica (S.Freud) l’uomo è un animale evoluto che ha trovato conveniente sacrificare la propria istintualità (gratificante ma pericolosa) alla organizzazione sociale (poco gratificante ma molto più sicura), per la Logoterapia (V.Frankl) o la Psicosintesi (R.Assagioli) invece, l’uomo è una creatura spirituale che attraverso le vicissitudini della vita cerca di ricongiungersi al proprio Creatore. Tra queste due estreme ed opposte visioni se ne trovano ovviamente molte intermedie, come la Psicologia del Profondo (C.G.Jung) che vede nell’uomo un essere misterioso nella cui anima è depositata la possibilità di decifrare il segreto della propria esistenza, o la stessa Bioenergetica (A.Lowen) che vede trasparire nella funzionalità corporea una dimensione spirituale rispetto alla cui natura, tuttavia, non prende alcuna  posizione.
Potrei continuare -  spero sia ovvio - ma preferisco fermarmi qui, sperando che questi pochi, estremi esempi siano sufficienti a far comprendere quanto possano essere essenziali i presupposi filosofici o, se preferiamo, la visione del mondo, da cui ogni terapeuta prende l’avvio per aiutare i propri pazienti. A prescindere dai risultati ottenuti essa risulterà determinante… Sempre! Anche nel deprecabile caso in cui un terapeuta si considerasse emancipato da qualunque presupposto filosofico, perché ciò vorrebbe solo dire che in lui tali presupposti esistono comunque ma sono inconsci. E anche se oggi è l’epoca della inconsapevolezza diffusa, non augurerei a nessuno di confrontarsi con un terapeuta che ignori i presupposti conoscitivi da cui muove il proprio pensiero.

Per completare il quadro si tenga in considerazione un’ultima cosa: oggi i psicoterapeuti più onesti e spregiudicati sono concordi nel ritenere che l’elemento determinante ai fini di una cura è la qualità della relazione terapeuta-paziente. In altre parole ciò sembrerebbe sconfessare tutto ciò che fin qui mi sono sforzato di illustrare, rimandando la “guarigione” non tanto alla teoria di riferimento o alla tecnica usata dal terapeuta, quanto piuttosto alla “bontà” dell’Incontro tra persona e persona.
In effetti è così (o, almeno, questo è anche il mio convincimento). Ciò tuttavia non toglie valore alle specificazioni sopra riportate, bensì le rinforza, mostrando come, in realtà, la terapia psichica possa funzionare solo nei limiti in cui si trovino a coincidere le scelte di vita profonde (teoriche e pratiche) sia degli uni che degli altri. In altre parole ciò significa che ognuno “incontra” l’Altro che è davvero predisposto ad “incontrare”, pena la squalifica del proprio operato.
Terminerei perciò questo breviario con un esplicito invito: qualora dovesse servire, scegliete con cura il terapeuta nella cui anima riversare le difficoltà irrisolte. Sceglietelo con avvedutezza e, qualora dovessero mancare elementi evidenti su cui basarsi, fate parlare il vostro istinto: vi dirà se restare o invece fuggire a gambe levate.