L’uomo
è un essere invisibile
Garantisco il lettore che
questo non è un articolo di fantascienza né tantomeno di New Age, bensì un
articolo di psicologia del profondo il cui autore non è affetto da psicosi
delirante, è sobrio e vanta una formazione scientifica di tutto rispetto. Solo
che, per quanto pazzesca, assurda o azzardata quest’affermazione possa
sembrare, la verità è che tutti noi, uomini e donne che abitiamo questo
pianeta, essenzialmente siamo gli uni invisibili agli altri. Questa però non è
una metafora, un’allegoria o un’immagine retorica, bensì un fatto. Un dato
incontestabile, anche se pochissimo evidente – bisogna ammetterlo – della
natura ultima delle realtà.
Ma procediamo con ordine, e
verifichiamo l’attendibilità di questa mia affermazione.
Potrei cominciare rimandando il
lettore interessato agli ultimissimi paradigmi della ricerca scientifica i
quali - in contraddizione con quelli propri dell’oramai superata scienza
newtoniana – riconsiderano il ruolo dell’osservatore
in relazione alla natura
dell’oggetto osservato. In altre parole ciò significa, contrariamente a quanto
supposto dalla vecchia scienza, che nessun ricercatore (osservatore) può
presumere di prendere le distanze dall’oggetto osservato e, da una tale
asettica posizione, studiarlo come ente fatto e finito, incondizionato e non condizionabile dall’intervento che
su di lui egli stesso compie. Al contrario, oggi sappiamo che l’osservazione
condiziona l’ente osservato, lo modifica nella sua natura più profonda, a
testimonianza del fatto che un “quid” più o meno invisibile collega tutti al
Tutto e, dunque, ognuno ad ogni cosa. Solo che questo “quid” non è più, oggi,
un fluido magico e misterioso, come quello supposto verso la fine dell’800, né
tantomeno un etere invisibile e incommensurabile. Al contrario sembrerebbe
rimandare ad un legame di natura subatomica – lo stesso che è responsabile del
cambiamento istantaneo del senso di
rotazione dello splin di due neutrini gemelli ancorché distanti miliardi di km
nello spazio siderale – e che rimanda alle forze presenti nell’Ordine Implicato
(supposto da David Bohm) o al Vuoto Quantomeccanico di Massimo Corbucci.
Spero di non aver di nuovo
spaventato il mio lettore. Non c’è alcun bisogno di conoscere le attuali
diatribe che dividono i fisici della meccanica quantistica per comprendere il
mio assunto iniziale. Se ne ho riportato alcuni spunti era solo per introdurre
l’idea che la realtà del mondo, quella realtà così solida, concreta e
incontestabile che si dispiega sotto i nostri sensi, in verità non è affatto
così solida, così concreta e così incontestabile come ci fa tanto comodo
credere, bensì molto più evanescente e, in ultima analisi, occulta. Nessuno di
noi percepisce la Realtà nella sua totalità! Ma ognuno di noi percepisce
piuttosto quella porzione (piccolissima) di realtà che siamo stati educati – ma
anche condizionati – a percepire.
Giunto a questo punto, prima di
proseguire, potrei suggerire un facile esperimento: prendete tre, quattro,
venti o cento persone specializzate in un qualche settore. Che so? Un botanico,
un etologo, un pittore, un alpinista, un architetto e via discorrendo. E
portateli ora, tutti insieme, in un grosso parco naturale. Fateglielo girare in
lungo e in largo e a proprio piacimento. E alla fine provate a fare un’indagine
profonda e scrupolosa di ciò che hanno visto: sicuramente risulterà che il
botanico ha visto piantine di notevole interesse, l’etologo avrà individuato
chissà quante colonie di animaletti, il pittore sarà rimasto colpito da
cromatismi insospettati, l’alpinista avrà individuato appigli e appoggi su
alcuni alberi che si prestavano per essere scalati e l’architetto avrà
individuato la pianta organica del parco. Ma il bello è che nessuno avrà visto
nulla, ma proprio nulla, di ciò che ogni altro ha invece percepito e gustato in
ogni minimo particolare.
Sapete cosa significa tutto
questo? Che ognuno di noi percepisce quel tanto di realtà che abbiamo imparato
a conoscere attraverso l’educazione, la cultura alla quale apparteniamo, le
esperienze che abbiamo fatto e gli strumenti interiori che abbiamo a
disposizione. E infine ciò significa che la realtà a cui tutti facciamo
riferimento quando parliamo, quando ci muoviamo nel mondo, quando interagiamo
con gli altri, in verità è una Convenzione!
Tutti noi viviamo immersi in una Realtà
Convenzionata, che siamo abituati a credere uguale per tutti ma che, al
contrario, è profondamente diversa e Altra per ognuno di noi.
Fino a pochi decenni fa il
fenomeno non appariva che in situazioni eccezionali, non tanto perché erano
ancora da scoprire le leggi della nuova fisica, o le dinamiche psicologiche del
linguaggio, della percezione sensoria o dell’esperienza emotiva. Piuttosto sono
portato a credere che quanto meno l’essere umano era differenziato, quanto meno
il suo Io era individuato, tanto più coesa appariva la convenzione di realtà
della quale tutti partecipavano. Tra le popolazioni primitive, ad esempio, la
cui vita interiore ed esteriore era scandita da rituali e tabù inderogabili,
c’era poco spazio per la manifestazione dell’individualità specifica ed
autonoma, e la sovrapposizione delle singole realtà fino a costituire quella
realtà convenzionale che tutti poi avrebbero data per scontata, era perciò
facile e immediata. Bene o male tutti partecipavano della medesima realtà.
Ma se ora partiamo da quelle
primordiali aggregazioni umane e risaliamo la storia, su su attraverso le
famiglie, i clan, le tribù, gli stati, le nazioni e l’attuale cosmopolitismo,
ci accorgeremmo che all’ampliarsi del riferimento sociale fa tuttavia riscontro
l’emanciparsi della individualità egoica dalla collettività nella quale un
tempo era contenuta. Oggi, almeno in occidente, c’è la massima espressione
della singolarità della struttura interiore di ogni individuo la quale, in
massima parte, si scosta per tutta una serie di cause e di concause dalla
condivisione della realtà. E questo nonostante l’appartenenza ad un medesimo
territorio, la comune educazione - laica o religiosa - la cultura di fondo e
l’incalzare della comunicazione di massa. La quantità di segnali, stimoli e
impressioni che agiscono su tutti noi sono talmente tanti e diversificati che
nessuno è in grado di appropriarsene e di elaborarli nella loro totalità Si
potrebbe perciò anche dire che ognuno accoglie ciò che può, oppure ciò verso
cui si sente attratto. Ognuno accoglie una parte infinitesimale dei dati a
disposizione e, su tali dati, edifica poi la propria realtà. Una realtà che gli
sembrerà concreta ed oggettiva, certa e unica, ma che non coinciderà più se non
marginalmente con quella del proprio congiunto, o con quella del proprio
vicino, o con quella di tutti gli altri. Ciò nonostante continuiamo a credere
in una Realtà Comune senza accorgerci della sua convenzionalità.
Questo inganno che tutti subiamo,
questa sorta di incantamento che ci illude di vivere nello stesso universo dove
tutti vivono e assoggettati alle stesse leggi naturali, è perciò dovuto al solo
fatto che la realtà che ognuno di noi si crea è si fondata su dati
inoppugnabili, solo che essi sono parziali. Sono dati minimi di una Trasmissione Dati ben più vasta, ricca
e generosa ma che la nostra coscienza non è in grado di contemplare nella sua
interezza.
E così conviviamo, a stretto
contatto di gomito: il prete che ha dedicato tutta la propria vita alla ricerca
di Dio, convinto di salvare l’anima dei propri fedeli; l’amministratore
delegato della grande multinazionale che riduce alla fame migliaia di
lavoratori, convinto di rispettare il mandato dei propri azionisti; il grande
chirurgo che vive ogni giorno immerso nel sangue e negli organi asportati,
convinto di essere l’unico e il solo a salvare la vita ai propri simili (perché
l’unica vita è quella organica); il giocatore di pallone che incanta una
nazione con “l’intelligenza dei propri piedi” convinto di essere chissà quale
grande uomo; l’avvocato che vede motivi di contenzioso ovunque; lo sportivo che
vive solo per i propri record; il criminale che pensa esclusivamente a quali
colpi mettere a segno; il play boy inveterato convinto che le donne siano tutte
grandi puttane; l’astrologo che vede ovunque gli influssi delle stelle; la
mamma che vive solo per i propri figli… E gli “strizzacervelli” (per fortuna
non tutti) che a forza di contemplare le dinamiche più oscure dei loro pazienti
sono convinti di vedere l’Invisibile!
Spero che si comprenda che sto
semplificando: nessuno si limita nel modo che ho descritto e tutti, chi più chi
meno, spaziano in altri ambiti. Ma per quanto vasti questi possano essere sono
pur sempre una povera cosa di fronte alla vastità della realtà ultima
dell’esperienza che condividiamo.
Perciò provvediamo… continuando a
credere in una realtà comune. In una convenzione di realtà.
In questa convenzione rientrano
le idee sulla nostra stessa natura. Chi potrebbe negare la nostra completa
visibilità? Eccoci tutti qua: una testa, due braccia, un torace, due gambe…
capelli, occhi, bocca. I caratteri sessuali maschili o femminili… alti o bassi,
magri o grassi, giovani o vecchi, bianchi, neri, gialli o rossi... Eccoci qui,
ben esposti alla vista.
Sono sicuro che quanti si sentono
fini psicologi a questo punto avranno mangiato la foglia:
- Non basta – avranno pensato
sorridendo – c’è di più…
E come dargli torto? Certo che
c’è di più.
Come si chiama questa persona?
Quanti anni ha? Che istruzione ha ricevuto? Quali talenti ha ricevuto dalla
vita? Quali sono state le sue esperienze più importanti? Che lavoro fa? E’ gay
o eterosessuale? Quale partito vota? E’ atea o credente? Vive da sola o in
compagnia? Quali sono i suoi hobby? Quali i suoi progetti futuri?
Prendiamo tutte queste
informazioni, sovrapponiamole a ciò che i nostri sensi percepiscono e… insomma,
potremmo dire di avere una più che discreta “vista” di insieme della persona
che abbiamo di fronte. Possiamo sentirci soddisfatti.
Peccato che le cose non stiano
affatto così e che, ancora una volta, la realtà convenzionale offuschi non solo
il nostro sguardo, bensì anche la nostra coscienza. Siamo tutti convinti,
infatti, che l’essenza dell’essere umano che ci sta di fronte sia rinchiusa nel
tempo e nello spazio, che l’Io dell’ uomo finisca dove finisce la sua
epidermide e che, tutt’al più, nella massa cerebrale racchiusa nel suo cranio
si occultino i suoi ricordi, le sue capacità, i suoi talenti, le sue mancanze,
i suoi progetti, le sue fantasie, le sue speranze. Siamo convinti che l’uomo o
la donna che ci stanno di fronte si esauriscano nella loro corporeità e nei
tratti psicologici che ostentano.
Ma – lo ripeto – non è così. C’è
un territorio più profondo, c’è una zona più ampia, vagamente assimilabile
all’inconscio della psicanalisi, dove continuano ad esistere tutte le
esperienze che hanno fatto parte della vita di ogni persona. Solo che questo
territorio dell’anima non è “contenuto” nelle cellule nervose, né tanto meno
nel flusso molecolare delle sinapsi. Piuttosto rinvia a quella dimensione
extra-spaziale ed extra-temporale a cui sopra ho accennato e nella quale è
radicato l’apparire del mondo. Rimanda a quella dimensione invisibile dalla
quale trae alimento e sostanza quella visibile.
Trenta raggi convergono
nel mozzo
Ma è il vuoto del
mozzo l’essenziale della ruota.
(Dal Tao
Te Ching di Lao Tzé)
Ma il fatto che una dimensione
sia invisibile non vuol dire che non esista. Vuol solo dire che non è
rilevabile dalla nostra percezione sensoria che è tarata sulla spazialità. Ciò
nonostante l’invisibile ha una sua “consistenza”, una sua “dimensione” o, se
vogliamo, un suo “spessore”. Solo che, appunto, non si vede. C’è, ma non
appare.
Se fossimo in grado di
percepirlo, allora, guardando un uomo o una donna, vedremmo un “campo di forze”
immenso che – per così dire – alla sommità va condensandosi fino a costituire,
proprio all’apice, una piccolissima “perla”, ben solida e compatta. Quella
piccolissima perla è la nostra testa, gli elementi semi-condensati appena sotto
la testa rappresentano il nostro corpo fisico, mentre tutta la restante,
immensa parte di forze plastico-dinamiche è la nostra completa individualità.
Sembra fantascienza, vero? Ma non
lo è. Questa è la Realtà della realtà.
Facciamo qualche esempio:
Anni fa si presentò al mio studio
un uomo di una certa età. Dopo essersi assicurato del vincolo del segreto
professionale, si presentò: era uno degli avvocati più famosi d’Italia. Era
stato rappresentante legale di non so più quali grandi industrie italiane a
partecipazione statale, era stato molto vicino ad alcuni degli uomini politici
ai vertici del potere e, potremmo dire, le sue idee avevano svolto un ruolo
importante nell’andamento politico del nostro paese per almeno alcuni decenni.
Ebbene, quest’uomo rispettato, invidiato e temuto, mi confidò alla fine il suo
segreto. Egli era ben consapevole di non valere assolutamente nulla, di essere
un incapace… di essere un inetto, incompetente, inadeguato, maldestro
pasticcione e di vivere nell’assoluto terrore di essere scoperto. - Prima o poi
– mi confidò quest’uomo con il panico negli occhi - tutti coloro che mi hanno
dato fiducia capiranno chi sono, scopriranno chi sono io veramente, e mi
cacceranno con infamia!
Non credo che ci sia bisogno di
molte parole da parte mia per confermarvi come il suo terrore fosse del tutto
infondato. Ve li immaginate i nostri più grandi imprenditori e i nostri più
importanti uomini politici – che non esiterei a definire veri e propri “Squali”
economici – presi per i fondelli da un millantatore? Per decenni?
Ci sarebbe da ridere a
crepapelle. E invece quest’uomo, affetto da una sindrome di abbandono che lo
aveva convinto – fin da quando era piccolino - di essere “sbagliato”, cattivo,
sciocco e, dunque, indegno di autentica considerazione, quest’uomo che si era
laureato con i massimi voti in giurisprudenza (convinto di aver sempre avuto
“molto culo”), che si era specializzato alla Bocconi di Milano (secondo lui era
stato solo fortunato) e che aveva fatto guadagnare alle industrie di cui si era
occupato decine di miliardi (senza merito alcuno, sosteneva), quest’uomo
elegante, colto e raffinato era vissuto per sessant’anni nel terrore.
E adesso fate uno sforzo e
provate a visualizzare il suo inferno personale: un’ora dopo l’altra, un giorno
dopo l’altro, per mesi e per anni, per decenni… Sempre con il fiato trattenuto,
spesso con le pulsazioni cardiache alterate, bagnato di sudore freddo, invaso e
tormentato da fantasie: “Adesso mi scopriranno, adesso se ne accorgeranno… mi
cacceranno via e sarò additato al pubblico
lubrico… che vergogna, Dio mio, che vergogna!”. Era conosciuto come persona brillante e affascinante… in
realtà spesso pagava belle donne che si prestavano ad accompagnarlo nelle
occasioni mondane, perché la sua vita affettiva ed erotica era stata
condizionata dalle stesse dinamiche, dalle stesse paure, dagli stessi fantasmi.
Era sempre stato davvero terrorizzato e, all’epoca in cui l’incontrai, era così
stanco di questo tormento interiore e della messa in scena che – almeno secondo
lui - aveva recitato per tutta la vita che stava seriamente pensando al
suicidio.
E adesso chiedetevi: ciò che si
vede all’esterno quanta parte di quest’uomo rappresenta?
Poco o nulla. Sulla superficie
dell’Oceano-Realtà galleggia la parte emergente di un iceberg. Per quanto
gigantesca essa possa essere, è pur sempre povera cosa rispetto a quella parte
di sé che la completa ma che giace, invisibile, sotto la superficie dell’Acqua.
Una donna, non più giovanissima,
ma che doveva essere stata molto bella, si presenta un giorno al mio studio. E’
una professoressa universitaria, è singol, e vive perciò da sola in compagnia
di una gatta oramai molto vecchia. Da bambina aveva molto amato la madre e
guardato invece con sospetto un padre spesso assente e troppo scopertamente
interessato all’universo femminile. La paziente mi racconta che un giorno,
quando lei aveva 8 anni, tutta la famiglia fu coinvolta in un terribile
incidente stradale che causò la morte della madre. La piccola rimase perciò con
il padre il quale, inconsapevole che nell’immaginario della figlia egli era
colpevole della morte della madre (perché al momento dell’incidente era lui che
guidava l’auto), pensò bene di buttare benzina sul fuoco, facendole incontrare,
negli anni, una dopo l’altra, tutte le giovani donne con cui lui si
accompagnava. Donne “oggetto”, che il padre usava e gettava come se niente
fosse. La bambina crebbe con un odio feroce nei confronti degli uomini… crebbe,
sviluppò… divenne una bellissima ragazza e pensò bene di vendicarsi rendendo
agli uomini “pan per focaccia”. In breve tempo divenne una “mangiatrice di
uomini”. Uomini che anche lei “usava” cinicamente e “buttava” subito dopo
averli fatti innamorare. Tuttavia, quando aveva 35 anni, incontrò un uomo,
sposato, molto simile al proprio padre. Un uomo che da bambino era stato
testimone delle numerose relazioni amorose intrattenute dalla madre di nascosto
dal padre. Tra la mia paziente e
quest’uomo fu subito “cortocircuito”… ne nacque una relazione turbolenta in cui
nessuno dei due contendenti era disposto a deporre le armi. Quando erano
insieme lui (rievocando la madre) la trattava come una prostituta, una
donnaccia poco di buono da usare per il proprio piacere. Con ciò vendicandosi
della madre e, indirettamente, di tutte le donne! La mia paziente subiva, come
affascinata (dal ricordo del padre), arrivava ad un estremo di umiliazione e
poi fuggiva, allontanandosi da lui. Dopo poco però lui tornava a cercarla,
promettendole di cambiare, di separarsi dalla moglie e di imparare ad amarla.
Lei credeva alle sue parole (bisognosa di conquistare l’immaginario
maschile-paterno inconquistabile) e il gioco ricominciava… perché dopo
pochissimo lui riprendeva a trattarla come una puttana. Un gioco sempre uguale,
sempre lo stesso… ognuno di loro due attratto e convinto a livello inconscio di
riuscire prima o poi a risolvere, nella relazione con l’altro, il nodo
nevrotico vissuto nel passato: lui perduto nel proprio amore-odio per la madre,
lei smarrita nel proprio odio-amore per il padre. Un gioco micidiale, perverso,
allucinante, senza scampo… che era durato 15 anni e che ancora era in piedi
quando la donna entrò nel mio studio. Quando mi lasciò, due anni dopo, avendo
conquistato solo una parziale autonomia da lui, mi disse:
- Se soltanto una volta lui mi
dicesse: “Ti amo” potrei finalmente lasciarlo e rifarmi una vita.
Non riusciva a credere che quelle
parole, quell’uomo, non le avrebbe mai potute pronunciare perché troppo fiero e
vendicativo nei confronti della madre che lo aveva sempre tradito.
Vi invito ancora una volta a
immaginare la vita interiore di queste due persone: un’intera vita attraversata
da speranze, desideri, collere furibonde, odi profondissimi, bisogni, slanci
d’amore, decisioni irrevocabili, promesse mai mantenute, bugie, menzogne, sogni
infranti, progetti annullati e poi ogni volta ricostruiti, incontri d’amore,
sfide sessuali, attacchi improvvisi indirizzati a fare male, ad uccidere
l’avversario che poi, però, si cercherà di resuscitare. Un inferno! Un inferno
che durava 15 anni… ma i cui prodromi erano già iniziati 20 anni prima quando
sia lui che lei si erano persi, urlando, nei giardini della propria infanzia.
Chi vorrà sostenere che
nell’integerrima professoressa o nel medico affermato che tutti i giorni si
sono aggirati per le strade della nostra città, e che hanno incontrato amici,
colleghi, studenti, pazienti, sconosciuti di passaggio, magari salutando e
sorridendo, chi vorrà sostenere che in queste due persone siano stati
riconoscibili e dunque visibili le loro più complete ed ultime realtà? Chi ha
mai contemplato il loro Io più profondo? Chi li ha davvero visti?
Un ultimo esempio, di sfuggita:
penso al prestigioso professore di università, sposato e con due figli, che mi
confessò la sua insuperabile attrazione per il masochismo. La sua mente, per
altro assai brillante, era quasi continuamente occupata da fantasie erotiche in
cui “Padrone Severe”, vestite di cuoio e lattice, armate di manette e frustini,
lo costringevano alle più umilianti torture portandolo solo infine ad un
orgasmo liberatorio. Anche qui: incontri segreti, menzogne, sperpero di denaro,
promesse di cambiamento fatte a se stesso, desideri morbosi, fantasie estreme,
vergogna… molta vergogna. Sempre. E poi ancora rassegnazione, pensieri suicidi,
voglia di riscatto, masturbazioni segrete, incontri umilianti, ricatti a volte…
e ancora vergogna…
Cosa si vede di quest’uomo? Poco
o nulla. Il suo Io è invisibile agli occhi del mondo. Ciò che si vede è poca
cosa, una quisquilia, schiuma di mare sulla superficie dell’Oceano Profondo.
****
È ovvio… si potrebbe ora
obbiettare che la mia sia sempre stata una posizione particolare. Che lo studio
di uno “strizzacervelli” non sia un laboratorio giusto per simili esperimenti.
Lo credevo anch’io, fino a pochi
anni fa. Credevo fosse la “Patologia” ad essere invisibile.
Poi, pian piano, man mano che
raccoglievo confidenze e testimonianze occasionali da uomini e donne
straordinari che mi capitava di incontrare fuori dal mio stretto ambito lavorativo,
mi sono accorto di quanti aspetti della vita interiore delle persone
rimanessero sempre e comunque celati alla vista degli altri. Negli anni sono
stato onorato, infatti, dalla fiducia di persone che mi hanno fatto partecipe
di rivelazioni segrete e informazioni riservate sulla loro vita privata. Vite
straordinarie, lo ripeto, nelle quali rilucevano generosità inimmaginabili,
abnegazione e senso della responsabilità, sacrifici, scelte eroiche e
coraggiose, progetti arditi, gesta spericolate e temerarie.
E allora ho capito. Con
l’esperienza e la “vecchiaia” ho capito.
Siamo tutti esseri invisibili. Chi più chi meno. Abbiamo tutti le
nostre vicissitudini occulte e siamo tutti attraversati da paure, speranze,
bisogni, rimpianti, odi segreti, amori non confessati, fantasie perverse,
ferite vergognose, rinunce coraggiose, sacrifici eroici, altruismi
inimmaginabili. Tutti ci osservano, ma nessuno “ci vede” per quello che siamo.
Noi stessi, tuttavia, vediamo solo una parte piccolissima e superficiale della realtà
degli altri, perché quella che veramente conta è nascosta. Non appare, se non
per brevi lampi di intuizione immaginativa. Ad esempio quando “amiamo” - come
scoprì Oscar Wilde nei suoi ultimi giorni di vita passati in carcere per il
reato di omosessualità – perché allora, e solo allora, cogliamo con la forza
dell’immaginazione l’essere profondo e ideale dell’altro. Lo cogliamo in una
sorta di Immagine Ideale che non è
però, si badi bene, una costruzione arbitraria della fantasia, bensì
un’autentica percezione visionaria
dell’essere dell’altro colto nella sua completezza e nella sua verità.
Solo l’immaginazione d’amore può
arrivare a tanto e svelare l’occulto.
Ma essa – da sempre - appartiene
agli eletti!
Ai “Poveri di Spirito”.
Qualche volta, ma non sempre, e
non per sempre, agli amanti…
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