Quale
Terapeuta?
"Cento
anni di psicanalisi - è intitolato uno dei libri di J. Hilmann - e il mondo va
sempre peggio." Certamente… quella di Hilmann è una provocazione bella e
buona. Ma qualcosa di vero la contiene. Soprattutto se ammettiamo il fatto che
al di là dei limiti ordinari della psicoterapia - comuni a qualunque forma di
medicina o pratica terapeutica - e di quelli poi invalicabili del destino
ultimo di ogni essere umano, un numero incredibilmente alto di psicoterapeuti
sono purtroppo inadeguati. Non tanto per mancanza di formazione, preparazione
culturale, serietà o buona volontà, quanto piuttosto per basilare mancanza di
attitudine (e mi verrebbe voglia di aggiungere: terapeutica e morale). Che fare
allora? Buttare tutto nella spazzatura, o imparare a navigare nel periglioso
mare scegliendo magari il capitano giusto (o comunque quello meno sbagliato) a
cui affidare il compito di condurre la navicella della nostra psiche fuori dal
gorgo nel quale si trova a rigirare su se stessa? Convivere con il proprio
disagio, o sciogliere i nodi che uniscono impropriamente la teoria clinica alla
pratica, e ri-appropiarsi del diritto di scegliere il proprio terapeuta?
Il
fatto è che la psicoterapia (in tutte le sue variegate forme) può essere
considerata uno dei fenomeni più contraddittori e paradossali che l'umanità
abbia prodotto nel corso dell'ultimo secolo del trascorso millennio, e che
appunto, in quanto paradossale, non è stato ancora compreso nella sua più
profonda natura. Soprattutto dal pensiero ingenuo "dell'uomo della
strada" il quale, altrettanto paradossalmente, è proprio colui che di
questo strumento dovrebbe servirsi per arrivare a conoscere meglio se stesso..
Proviamo
allora ad osservarla meglio e a trovare un senso tra queste sue mille
contraddizioni.
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Quando vide la
luce, sul finire dell'ottocento e i primi del novecento, ad opera del genio
indiscusso del maestro viennese, la psicanalisi rappresentò la risposta più
coerente ed adeguata ai bisogni dell'anima malata dell'uomo moderno
occidentale. Come è ovvio fu figlia della sua epoca ma, crescendo, era
inevitabile che continuasse a fare i conti con la storia; ed è lungo questo
percorso che ha più volte rischiato - e ancora continua a farlo - di perdere
contatto con le proprie radici.
Difatti, contravvenendo alle indicazioni del
suo stesso ideatore (che intuitivamente aveva auspicato la futura emancipazione
della sua creatura dalla matrice medica) la maggior parte dei suoi successori
operò in senso contrario e - vittime inconsapevoli di un vero e proprio
complesso di inferiorità nei confronti della scienze esatte - diedero vita ad
un processo (non ancora terminato) di sistemazione e inquadramento rigoroso
della teoria originale. Lo scopo - più o meno confessato - era quello di
ottenere il pieno riconoscimento del loro stesso operare e l'iscrizione della
psicanalisi appunto nell'albo delle scienze.
Ma - haimé - la psicanalisi non è
una scienza. Non ne possiede i requisiti, e quando qualche ricercatore
preparato ha voluto sottoporla alle prove del caso in pratica l'ha fatta a
pezzi, scoprendo che è autoassertiva e dogmatica, né più nemmeno come tutte
quelle sette pseudo-religiose, esoteriche e/o comunque salvifiche di cui è
pieno il nostro variopinto mondo. Ovviamente una differenza c'è, e sostanziale.
Perché la psicoterapia in una alta percentuale statistica dei casi funziona…
funziona davvero; ma al di là della fondatezza delle teorie della personalità
(che sono quello che sono), dell'esattezza rigorosa dei protocolli nosografici,
dell'accurato studio e della continua verifica dei principi psicodinamici, se
la psicoterapia funziona ciò è dovuto alle capacità e alle motivazioni profonde
di ogni singolo operatore.
Tant'è vero che ci sono state occasioni (e purtroppo
ancora ce ne sono e forse sempre ce ne saranno) in cui singoli terapeuti -
usando sostanzialmente lo stesso materiale clinico di riferimento e il gergo
più o meno esoterico, ma corretto, di tutti gli altri - hanno finito per creare
piccoli o grandi gruppi di discepoli e adepti fanatici a cui nessuno riuscirà
mai a dimostrare la condizione di plagio psicologico nella quale si sono venuti
a trovare.
Ma attenzione: a ben vedere, la responsabilità di questo stato di
cose non dipende della rigorosità scientifica o meno della teoria di
riferimento del terapeuta, né tantomeno dal titolo accademico di quest'ultimo,
perché tutte le teorie psicologiche (nessuna esclusa) sono auto-referenti, non
falsificabili (vedi Popper) e auto-dimostrative, mentre nessuna laurea ha mai
potuto, né mai potrà, garantire la sanità mentale, l'attitudine terapeutica e
la solidità morale di un terapeuta.
Di fatto non c'è teoria che non presumi una
vera e propria capacità intuitiva (e oserei aggiungere "visionaria")
da parte dell'operatore, e che, appunto in quanto capacità intuitiva, non può
essere certamente insegnata. E' pur vero che i più grandi didatti si sono sempre
raccomandati di considerare la terapia più un'arte che una scienza, e come tale
di insegnarla, ma è poi anche vero che queste loro raccomandazioni non hanno
trovato un grande riscontro nelle scuole di formazione. All'arte si guarda con
sospetto negli ambienti scientifici, e non si è disposti ad ammettere che essa
possa essere una forma ben più evoluta di "conoscenza del reale";
troppo inafferrabili i suoi presupposti, assolutamente non condivisibile come
esperienza e senz'altro non riproducibile. E poi come gestirla nell'ambito
delle scuole di formazione? E soprattutto (problema vecchio come il mondo)
senza un parametro di riferimento oggettivo, chi potrebbe mai garantire dei
garanti? Non dimentichiamoci che fu proprio in nome di una maggiore rigorosità
scientifica e, soprattutto, di una maggiore garanzia dei così detti
"utenti" (termine orribile) che negli anni novanta vennero chiuse le
scuole psicanalitiche private e la formazione terapeutica monopolizza
dall'università. Con il risultato che - se prima chiunque poteva spacciarsi
psicoterapeuta - oggi occorrono invece 24 esami alla facoltà di Psicologia e lo
sborso di svariati milioni alle scuole che gestiscono ufficialmente la
formazione per raggiungere lo stesso traguardo. Resta da chiedersi se l'utente
fosse più protetto quando vagava nella giungla della psicanalisi selvaggia ed
era perciò legittimamente sospettoso, o lo sia invece ora che, giustamente, fa
affidamento sulla garanzia di un albo.
Come se questo potesse effettivamente
garantire alcunché.
Ma c'è di più: se è fondamentale che ogni terapeuta
possegga una buona conoscenza della materia medica, e che tale conoscenza
sappia poi arricchire e movimentare grazie ad una innata attitudine artistica,
non meno importante dovrebbe essere poi la sua levatura spirituale (o morale,
che è la stessa cosa); non tanto come aderenza fideistica a questa o a quella
confessione, bensì come apertura incondizionata ai più profondi bisogni
dell'essere umano, che di spiritualità sono intrisi.
In altre parole ciò vuol
dire che l'individualità del terapeuta è il vaso alchemico in cui le conoscenze
intellettuali apprese, le capacità creative innate e gli slanci morali
conquistati si incontrano, e le sue esperienze di vita rappresentano il fuoco al
cui calore tutto questo materiale continua ad amalgamarsi.
Come dire, insomma,
che non esiste nessuna psicanalisi o psicoterapia in quanto tale, bensì
piuttosto singoli terapeuti. La terapia è un Incontro - intellettuale,
emozionale e spirituale - tra due esseri umani e ciò che ne può scaturire, come
in tutti gli incontri, è unico e irripetibile.
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Ma se è vero
che il "terapeuta è la terapia", come rintracciare quello
giusto?
Ogni tanto arriva nel mio studio qualche paziente che mi racconta di
sue precedenti esperienze psicanalitiche: è stato mesi (a volte anni) seduto di
fronte ad un terapeuta che sentiva emotivamente distaccato, oppure sdraiato su
un lettino dietro il quale un altro terapeuta non pronunciava mai una parola,
oppure ancora in relazione con qualcuno che non usava il suo stesso codice
verbale ed esperenziale… e sempre mi sento confessare che ha pensato:
"Deve essere colpa mia, forse è una resistenza che dovrei superare…"
Quando
mi accade cerco di spiegare alla persona che ho davanti che la psicoterapia è
sostanzialmente un Incontro, una esperienza emozionale tra due persone, e che
non ha senso abdicare il proprio giudizio a favore di dogmi teoretici e luoghi
comuni. E' senz'altro vero: il lavoro analitico prevede il difficoltoso
superamento di molte resistenze inconsce, ma non tutte le resistenze sono
"resistenze" e occorre intuito da parte di entrambi per riconoscere
le une dalle altre. L'aderenza incondizionata alla tecnica o alla teoria di
turno è pericolosa. Perché sono le teorie che dovrebbero sforzarsi di aderire
alla realtà dell'uomo, non l'uomo alle teorie, per quanto corrette quest'ultime
possano apparirgli. Nessun terapeuta - spiego ancora - solo in virtù dei suoi
attestati, dovrebbe essere considerato appunto un buon terapeuta o, comunque,
il terapeuta adatto per chiunque; e dopo anni e anni di lavoro e di esperienze
raccolte sul campo mi spingo certe volte a dire che non conta neppure il suo
orientamento teorico (freudiano, junghiano, bioenergetico, cognitivista,
relazionale, ipnotista o quant'altro…), bensì solo ed esclusivamente quello che
è come persona.
Ma come scoprirlo?
A chi me lo chiede in genere rispondo:
"Soprattutto con la pancia…. Lasciate parlare il vostro istinto, dategli
credito, e otto volte su dieci quello vi darà la risposta giusta."
Ma se
la persona davanti a me non si fidasse del proprio istinto, e fosse perciò
indeciso, gli suggerirei allora di contattare quanti più terapeuti possibili,
rivolgere loro una sola innocente domanda: "Dottore, lei crede nella
psicanalisi?" e scartare immancabilmente tutti coloro che rispondono: "Si!"
Perché
la Certezza uccide e solo il Dubbio lascia spazio alle speranze.
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