martedì 1 dicembre 2015

La Morte Rubata





Si può rubare una morte?
Ebbene sì! Per quanto assurdo o paradossale il fatto possa sembrare, la morte può essere rubata. Può essere sottratta alla persona direttamente chiamata a farne umana esperienza e a tutti i suoi cari aventi diritto di commossa partecipazione.
La morte può essere rubata! È un tentativo di furto bello e buono quello che in queste ore abbiamo vissuto io, mio fratello… due uomini adulti, consapevoli e responsabili, cui il sistema sanitario italiano, nella sua ristrettezza di vedute, ha tentato di sottrarre la partecipazione composta e serena alla morte della propria madre.
La donna in questione avrebbe compiuto tra pochi giorni novantun anni, vissuti tutti nella grazia della piena salute, nella profonda autenticità del rapporto d’amore con il proprio marito e nel raggiungimento di significativi successi familiari e sociali. Sarebbe difficile immaginare una vita altrettanto piena e soddisfacente.
Questa donna, alcuni mesi or sono, accusò il sanguinamento di un vecchio cavernoma al cervello che, agendo sul sistema neurovegetativo, in pochissimo tempo aggredì le sue funzioni. Dopo un minuzioso controllo in una costosa clinica privata, che scartò la possibilità di un intervento chirurgico drammatico sia per l’età della paziente che per la delicatezza oggettiva dell’intera operazione, nostra madre venne portata in una casa di riposo di recente costituzione: signorile, discreta e, soprattutto, molto umana. Il personale è gentile, accogliente, comprensivo… anche se non del tutto rispondente alle normative vigenti. La loro umanità, tuttavia, sembrava impagabile.
Dopo soli due mesi di degenza, nostra madre però peggiora: il cavernoma continua a sanguinare e si espande da 12 a 15 mm. La non abitudine alla malattia, l’invecchiamento e l’affaticamento naturale di tutti gli organi interni, la comprensiva angoscia di fronte all’esperienza del trapasso imminente, più una serie di concause di difficile individuazione fanno precipitare la situazione. La pressione della donna si abbassa, viene a mancare l’apporto di sangue e di ossigeno a vari organi e il cuore, in un tentativo naturale di compensazione, va in fibrillazione rendendole difficile il respiro.
Da giorni parlavamo con nostra madre per prepararla alla dipartita: le ricordavamo i suoi momenti più belli, i viaggi fatti con nostro padre, le loro forti amicizie, gli affetti, lo stuolo di nipoti, i suoi personali successi come donna di una generazione lontana anni luce da quella attuale. Le anticipavamo l’imminente re-incontro con nostro padre, la rassicuravamo sull’altra vita che presto avrebbe sperimentato e, scherzosamente, la pregavamo di non scordarsi di darci i numeri buoni per una straordinaria vincita al lotto.
Domenica 29 novembre ho un impegno di lavoro. Mi da il cambio mio fratello che resta con nostra madre fino al primo pomeriggio. Poi torna a casa. Io sono impegnato fino a tarda sera, ma quando finalmente mi libero la situazione di nostra madre precipita. L’affanno respiratorio mette in agitazione il personale della casa di riposo che, spaventato da possibili responsabilità legali, preme per chiamare la guardia medica. Quando il medico arriva, pur se bravo e competente, si lascia andare a una serie di accuse nei confronti della casa di riposo, responsabile - a suo avviso - di non aver dato l’allarme almeno un giorno prima, perché privo di personale infermieristico competente.
Gentile ma rigido, il medico esige che si chiami il 118. Mia madre sta solo morendo, con me vicino… ma questo non è contemplato nella cura ossessiva della vita fisica.
È notte, non mangio da dieci ore, sono stanco… e ho un cedimento di fronte all’arroganza dell’autorità medica. È tutta colpa mia e così, senza rendermene chiaramente conto, entro in una spirale di subdoli inganni. Nostra madre viene portata all’ospedale più vicino.
Lo so! Lo so benissimo… sono senza personale, senza posti letto e senza attrezzature; i medici e tutto il personale infermieristico fanno turni massacranti e straordinari, spesso senza essere nemmeno pagati. E so anche che su mille persone, novecentonovantanove di fronte alla possibile morte di una persona cara, esigono tutte le cure del caso e il rinvio all’infinito dell’esito finale. E che quasi tutti sono pronti a muovere guerra penale e civile contro chiunque non ottemperi con solerzia a quelli che credono essere i loro sacrosanti diritti: il diritto alla vita “più eterna possibile” e alle cure miracolose. Lo so: medici e infermieri vivono nel terrore continuo di assurde denunce.
Tutto ciò, tuttavia, non dovrebbe offuscare la loro più profonda umanità.
Non dovrebbe… ma questo purtroppo accade.
E così, dopo ore di attesa in un atrio del pronto soccorso – dove nessuno si perita di darmi la benché minima informazione, ci mancherebbe altro – alla fine un medico solerte s’impegna nell’accurata descrizione del circolo vizioso patologico nel quale è caduta nostra madre. Il risultato è che, così in fibrillazione, non può essere dimessa. Tuttavia, in reparto non ci sono letti disponibili… e non ce ne sono in nessun altro ospedale del circondario, per cui nostra madre dovrà restare parcheggiata lì, su una lettiga del pronto soccorso, mezza nuda, spaventata, con la luce accesa in faccia, dove nessuna voce amica potrà esserle di conforto.
Alle tre di notte, inebetito dal sonno, vengo pregato sgarbatamente, da una infermiera con il volto arcigno, di lasciare la sala d'aspetto del pronto soccorso.
La mattina dopo ci rendiamo conto di essere caduti in un girone infernale, fatto di paura, ipocrisia e totale mancanza di umanità. L’ospedale non ha posti liberi, ma non vuole dimetterla in quelle condizioni per paura di nostre possibili ritorsioni penali qualora, dopo poche ore, nostra madre dovesse morire. Firmiamo noi l’uscita dal pronto soccorso ma, con quel foglio, la casa di cura afferma di non poterla riprender in carico, sempre per paura di ritorsioni penali. In casa non possiamo portarla, perché non siamo organizzati con personale e strumenti adeguati.
Per alcune ore fronteggiamo la follia di una cultura che è incapace di contemplare la morte e che, paradossalmente, presume che i malati debbano morire sanati da qualunque male. La malattia deve essere curata, sempre e comunque, a prescindere dall'avere i luoghi, i tempi e il personale per poterlo fare. L’imperativo è categorico, e indifferente all’abissale solitudine spirituale del malato, trattenuto come un oggetto dismesso in luoghi desolati e desolanti, esposto all’indifferenza del via vai affannato di un pronto soccorso sempre intasato.
Ma in quale civiltà viviamo?
In quale incivile civiltà si ha così paura della morte da esorcizzarla in tutti i modi possibili immaginabili e, in nome della vita, si offende e si ingiuria senza riguardo la dignità morale di un essere umano? Quale vuoto interiore abita l’anima di questi insulsi professionisti sanitari, medici e infermieri, il cui compito specifico sembra essere solo quello di fare al meglio il proprio lavoro, come ligi impiegatucci di un sistema che ha del tutto rimosso la precarietà della vita umana? Quale ottusità si è impossessata di tutti noi che non sappiamo più guardare, non dico occhi negli occhi, ma nemmeno di sfuggita il pallido volto di Nostra Signora Morte?

Alla fine della nuova giornata, mia moglie, battendosi come una furia contro l’insensibilità della segreteria ospedaliera, riesce ad ottenere da un’anima pia un certificato di dimissione “taroccato” e, con quello, riporta nostra madre nella casa di cura che “a torto collo” l’accetta. Quando l’ambulanza la deposita sul suo letto, il personale si accorge che all’uscita dall’ospedale le hanno lasciato il catetere inserito. Fantastico paese l’Italia… Tanta accortezza burocratica… poca professionalità, e assenza totale di anima. Che il Signore abbia pietà di tutti voi, perché in questo momento a noi risulta difficile.
Nostra madre spira verso le 18, in quella che da mesi considera la sua camera, tra le sue cose, dopo aver salutato nipoti e pronipoti che sono venuti a salutarla, con le mani tra quelle di mia cognata. Io e mio fratello arriviamo tardi, dal lavoro, ma con il pensiero eravamo lì.
Nonostante tutto e contro tutti nostra madre se ne è andata tranquilla, invitata e accolta nel nuovo mondo dall’unico uomo che lei ha amato per tutta la vita.


Non ce l’avete rubata questa morte, non siete stati all’altezza del vostro Padrone.

1 commento:

  1. Gentile Piero, credo che la civiltà in cui viviamo sia una civiltà di morti che non sanno di esserlo. Morti nell'anima, che è molto peggio che morti nel fisico... E comunque condoglianze e complimenti per questo racconto davvero toccante! Grazie

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