Prefazione anno 2020
Sarebbe mai possibile riassumere e sintetizzare in poche centinaia di pagine i testi di Rudolf Steiner: “Le opere scientifiche di Goethe”, “Saggi filosofici” e “Filosofia della libertà”, nonché quelli di Massimo Scaligero: “La logica contro l’uomo”, “Il trattato del pensiero vivente” e “Il pensiero come antimateria” ?
La risposta a questa domanda è un categorico no! Un no assoluto, perché tutti quei testi sono stati scritti seguendo una concatenazione logica rigorosa ed essenziale di pensieri molto più simile allo sviluppo di una equazione matematica che non a uno svolgimento filosofico. Così rigorosa ed essenziale da risultare risibile il fatto di riportarne alcune parti sottraendole al contesto generale in cui sono state inserite o, addirittura, alterandone l’ordine di successione. In più, tutti quei testi sono così esaustivi in sé stessi da far risultare ridicolo e dilettantesco qualunque tentativo di accorpamento sintetico.
E tuttavia…
Era il 1978 quando io, giovane terapeuta junghiano formatomi in uno dei pochi istituti privati operanti all’epoca, operativo già da sette anni ma timoroso che l’annunciato nuovo Albo degli Psicologi e degli Psicoterapeuti potesse non riconoscere retroattivamente l’operato di quanti si erano formati negli anni precedenti alla sua entrata in funzione, sentii il bisogno di assicurarmi la legalità del mio operare iscrivendomi alla Facoltà di Psicologia che, proprio in quegli anni, aveva aperto la sua sede anche a Roma.
Verso la fine del 1982 ero perciò in procinto di portare a termine la mia seconda laurea ma, non essendo uno studentello alle sue prime prove con la vita, dopo essermi assicurata come relatrice una professoressa che mi sembrava essere la più intelligente di tutta la facoltà, come tesi finale le sottoposi un titolo dall’apparenza innocuo, ma che sottendeva una critica spietata al dogmatico sistema scientifico di cui la Psicologia si stava facendo vassalla (il termine più congruo sarebbe stato: sgualdrina).
Inconsapevole di quello che avrebbe dovuto valutare, la mia relatrice firmò il titolo da me proposto: “La realtà della realtà tra percezione e concetto”.
Ottenuta la sua firma, sparii per nove mesi, alla fine dei quali le consegnai i due terzi della mia tesi che conteneva quella sintesi delle opere principali di Steiner e di Scaligero cui sopra ho accennato.
Senza ora rinnegare quanto detto nelle prime righe, mi posso però concedere di affermare che era un lavoro ben fatto: mi era costato uno sforzo di concentrazione che si era protratto per mesi e mesi, regalandomi alcuni dei momenti più sublimi di tutta la mia vita. C’erano stati giorni nei quali avevo percepito il mio pensare volare alto, sopra le nuvole dei pensieri quotidiani e, come un’aquila reale, intuire l’ebrezza di una libertà incommensurabile.
Uno dei primi mesi del 1983 consegnai la copia della mia tesi che, se anche aveva gli ultimi tre capitoli ancora da scrivere, poteva essere già considerata un lavoro completo.
Alla mia relatrice prese un colpo… o almeno così immagino, perché dopo una settimana mi riconsegnò il dattiloscritto dove sulla pagina di copertina aveva scritto:
Egregio dottor Priorini, il suo lavoro sembra più una tesi di Filosofia che di Psicologia e non credo che sarebbe corretto da parte mia convalidarla per la prossima sezione di Laurea.
Con ciò la mia stimabile collega, perché in un certo qual senso eravamo colleghi, mostrava come la sua innegabile intelligenza mancasse di quella più accreditata conoscenza mitteleuropea e onestà intellettuale che le facesse ricordare come la Psicologia fosse derivata dalla filosofia e che di una psicologia che ignorasse i propri presupposti filosofici non si sarebbe neanche dovuto parlare.
Oltre a ciò, tanto per non rinnegare il becero servilismo con cui la Facoltà di Psicologia si offriva al dogmatismo materialistico ovunque imperante, in tutto il mio testo (che, senza falsa e inutile modestia, bisognava ammettere fosse almeno formalmente impeccabile) le uniche sottolineature rosse erano riportate sotto i termini quali: “facoltà animiche” o anche solo “dell’anima” insieme a un punto interrogativo rosso e la dicitura: “Che vuol dire?”
Questo a Psicologia!
Nei primi mesi del 1983.
Io e la Prof. battibeccammo un poco, poi – devo ammetterlo - non sentendomi così agile e spregiudicato da ribattere punto per punto le sue dogmatiche argomentazioni (in fondo avevo solo trent’anni e lei era una Baronessa nel pieno dei suoi poteri) me ne andai irritato e ritirai la mia tesi. La settimana successiva ne chiesi un’altra alla cattedra di Psicologia Dinamica, allora presieduta da Aldo Carotenuto, e in soli tre mesi mi laureai presentando una tesi sull’Archetipo del Padre in Psicologia del profondo.
“La realtà della realtà”, battuta a macchina su una Olivetti 32 portatile, fu da me riposta in un cassetto e lì rimase fino a un paio di anni or sono.
Fu nel corso del 2018, parlando con un mio anziano paziente il quale, a suo tempo, era stato curatore di stampa di diverse testate giornalistiche, che mi venne da chiedergli se sarebbe stato di in grado di trasformare i fogli ingialliti della mia vecchia tesi in un più moderno file digitale sul quale poter intervenire o, addirittura… fantasticare di completare.
Mi rispose che la cosa era fattibile e così, per un equo compenso, in un paio di mesi mi consegnò la mia vecchia tesi in un Word di facile accesso. Compiaciuto la rilessi… per la prima volta dopo trenta cinque anni che l’avevo scritta… e, diamine… dovetti convenire che era un buon lavoro. Sempre senza togliere nulla alle affermazioni fatte nelle prime righe di questa prefazione, dovevo ammettere che avevo fatto il possibile per radunare i passaggi più importanti dei testi di Steiner e Scaligero in modo che potessero allettare altri ricercatori e sollecitarli verso più ampi orizzonti della conoscenza umana.
Dopo quella lettura, da qualche parte, nella mia anima, risorse il desiderio di portare a compimento quel lavoro. Tanti anni prima quel giovanile compendio mi aveva regalato momenti di vera e propria estasi e il tema, quello della fondatezza del pensiero in sé stesso, era sempre stato e ancora rimaneva l’argomento verso il quale provavo il più entusiastico interesse. Se non avessi paura di essere mal interpretato, oserei dire che quello era l’argomento che più profondamente amavo di tutta la scienza dello spirito.
E tuttavia… dove trovare il tempo in una dimensione della quotidianità così diversa da quella dei miei trent’anni? E poi, quali erano gli argomenti specifici con i quali, all’epoca, avrei voluto portare a compimento i capitoli finali della mia vecchia tesi? Me la sentivo davvero di imbarcarmi in una simile impresa?
In realtà feci passare quasi un anno, baloccandomi tra: “Ora mi ci metto” e un “Ma che vado a pensare, lasciamo perdere”.
Sapevo benissimo che il mio sforzo non sarebbe stato destinato a nessuna pubblicazione, né, peraltro, ci tenevo più di tanto. Ma il fascino irresistibile era rappresentato dal fatto di tornare a mettermi alla prova, dopo così tanti anni; di verificare fino a che punto quei pensieri fossero maturati in me; e, infine, di testimoniare la mia fedeltà allo spirito (Michael) che di quei pensieri è il Paladino.
Non ultimo, poi, sentivo risuonare nel mio animo le stesse identiche parole del paratesto che il mio terapeuta di un tempo, anch’egli antroposofo, aveva usato per il suo personale commentario a “Filosofia della libertà”:
Amor, che nella mente mi ragiona
Sì, l’amore sospingeva anche me… e così mi rimboccai le maniche e detti inizio alla fine della mia opera.
Ma quanta fatica… non avevo immaginato quanto fosse difficile a settant’anni suonati, ancora dedito al lavoro di terapia, piacevolmente impegnato in una relazione d’amore con la compagna di questi ultimi vent’anni, distratto da mille altri interessi (alcuni, ahimè, anche superflui), trovare la concentrazione necessaria per portare a termine un lavoro iniziato nell’esuberanza giovanile dei trent’anni.
E poi… quante maggiori informazioni e quant’altri riferimenti scientifici avevo accumulato in tutti quegli anni? In realtà, avrei potuto ricominciare tutto da capo e avallare il mio dire con ben più corposi riferimenti. Decisi, però, di non farlo e di lasciare le prime 150 pagine così come le avevo scritte, senza cambiarne nemmeno una virgola.
Mi fu tuttavia impossibile rintracciare e mantenermi fedele a quello stile essenziale, asciutto e rigoroso che ero riuscito a esprimere in quegli anni. Non ero più il ragazzino di una volta, troppe esperienze e troppe conoscenze si erano accumulate, cambiando me e lo stile letterario con il quale da troppo tempo, oramai, mi esprimevo.
Tuttavia, ci provai… e se il lettore-amico che un giorno leggerà queste pagine troverà, nonostante i miei sforzi, che il salto sia comunque eccessivo… non me ne voglia. Sappia che davvero mi sono sforzato e, dove ho mancato, lo addebiti piuttosto alla immaturità del mio pensare di fronte al compito che ha osato immaginare.
INDICE
Prefazione pag.7
INTRODUZIONE pag.13
I. L’ERRORE GNOSEOLOGICO E LE SUE RIPERCUSSIONI NELLA RICERCA SCIENTIFICA.
1.1. L’impostazione gnoseologica di Kant pag.39
1.2. Le conseguenze dell’errore pag.46
1.3. Contraddizioni insuperabili pag.54
II. UNA CORRETTA IMPOSTAZIONE GNOSEOLOGICA.
II.1. Il momento dell’esperienza pag.63
II.2. Il pensare sconosciuto pag.76
II.3. Il pensare e la realtà pag.90
II.4. Percezione, Rappresentazione, Pensiero pag.108
III. LA REALTA’ DELLA REALTA’
III.1. Oggettività delle sensazioni pag.119
III.2. Il mistero della materia pag.135
III.3. Per una futura scienza del percepire pag.143
SECONDA PARTE
IV. VERSO UNA NUOVA SCIENZA pag. 153
V. LA CONOSCENZA DELL’ INORGANICO pag.163
VI. LA CONOSCENZA DELL’ ORGANICO pag.179
VII. LA CONOSCENZA DELL’UOMO pag.193
CONCLUSIONI pag. 207
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