La scissione dell’immaginario
erotico maschile
Ha senso continuare a dibattere
un tema così dibattuto, appunto, come quello della latente scissione
dell’immaginario erotico maschile? Probabilmente no! Ricercatori e colleghi
hanno già sviscerato il problema esponendolo poi in relazioni, articoli e saggi
di raro acume. Di fatto, tutto quello che poteva essere detto è stato detto e
questo articolo potrebbe giustamente sembrare una pedissequa e inutile
ripetizione. Credo tuttavia che non si insisterà mai abbastanza nella denuncia
della tematica in questione. Non tanto perché si debba o si possa aggiungere,
ogni volta, qualcosa di nuovo, quanto piuttosto perché molti degli uomini di
oggi, che neppure sospettano la problematicità del proprio vissuto, trovandosi sempre
più spesso di fronte a tali denuncie, alla fine possano cominciare a
sospettarla.
Se la disamina è abusata, non è
detto, però, che non si possa tentare di essere originali: ad esempio
rovesciando i consueti nessi di causa ed effetto e presentare alcuni di quegli
atteggiamenti interiori ed esteriori che spesso sono considerati “conseguenza”
di un determinato agire maschile, piuttosto come spinte e motivi inconsci che
quello stesso agire determinano. L’esercizio potrà sembrare sterile, o comunque
gratuito – posso immaginarlo… sono tuttavia convinto che alla fin fine ne
possano nascere spunti interessanti.
E allora vediamo: cominciando
dalla fine, mi sentirei di affermare che il processo evolutivo della psiche
maschile, oggi come oggi, è del tutto mancante di almeno un paio di paradigmi
che sarebbero invece indispensabili a definirne la progettualità. In altre
parole, forse più semplici, direi che l’attuale immagine di “virilità” sia
completamente distorta, se non addirittura caricaturale e, dunque, inadeguata a
far realizzare ai giovani quella maturità e quell’equilibrio interiore che
sarebbero invece indispensabili in una vita adulta.
I motivi di questo stato di fatto
sono molteplici e, come ho già dichiarato in apertura di questo articolo,
colleghi e ricercatori ben più titolati hanno individuato nella sostanziale
mancanza della figura (simbolica e reale) del Padre nella nostra società la
radice ultima di tutti questi problemi. Mi fa qui piacere segnalare ai più
curiosi dei miei lettori i pregevoli lavori di Claudio Risé: “Il Padre, l’assente inaccettabile” e “Il mestiere di Padre”; il testo di
Massimo Recalcati: “Cosa resta del Padre”,
quello di Luigi Zoja: “Il gesto di
Ettore: preistoria, storia, attualità e scomparsa del Padre”; e, per
finire, il bel racconto autobiografico di Stefano Zecchi: “Dopo l’infinito cosa c’è, Papà”.
Come già detto, non ho intenzione
di ripetere – magari male – ciò che altri hanno già detto. Più interessante mi
sembra, invece, provare a raccogliere le osservazioni e i pensieri espressi da
tutti questi autori per individuare i due principali paradigmi la cui assenza –
anche secondo me – è responsabile del mancato processo “individuativo”
dell’uomo contemporaneo. Questi due paradigmi sono: 1) il senso di
responsabilità nei confronti della comunità e 2) il senso di protezione.
Guardiamoci spregiudicatamente
intorno… giriamo lo sguardo… ma proviamo a farlo con gli occhi di un giovane di
quattordici, quindici, sedici anni… Cosa vediamo? Anzi, no! Cominciamo da ciò
che non vediamo: molto spesso – come già detto – non c’è traccia di un Padre
degno di questo nome. Di un uomo adulto che si faccia incarnazione del presente
storico e che, pur partecipando alla creazione di un prossimo futuro, sappia
indicare al figlio, con l’esempio e non con vuote parole, l’importanza del
proprio impegno personale nel tessuto sociale. Manca l’uomo adulto che con
infinito amore prenda la mano del ragazzino e, adeguando il proprio passo, lo
accompagni sulla soglia di uno dei tanti possibili sentieri che il figlio
potrebbe scegliere di percorrere per avvicinarsi a quell’orizzonte lontano
oltre il quale si nasconde la meta di ognuno di noi. Che lo accompagni fin
sulla soglia, e non oltre, trasmettendogli la sua fede incrollabile nelle
capacità del figlio di poter raggiungere la meta grazie alle risorse che in lui
egli intravede. Manca l’uomo adulto come Presenza amica, come punto di
riferimento fisso, certo, indubitabile, inamovibile, inattaccabile… permissivo
ma, nello stesso tempo, protettivo, sicuro, difensivo. Porto protetto, faro di
luce, rocca granitica da cui il figlio possa muovere verso l’incertezza del
proprio domani.
Ecco. Tutto questo, oggi, molto
spesso non c’è.
Al suo posto Padri distratti,
assenti, lontani, occupati… molto spesso ancora impegnati a ricercare il
significato della loro stessa vita. Padri ancora bambini – a volte nonostante
l’età avanzata – padri insicuri… oppure ancora padri mancanti di quei contenuti
ideali di cui i figli avrebbero invece un bisogno assoluto. Se i Padri
biologici sono assenti non meno distorti, però, risultano quelli simbolici:
insegnanti demotivati, incapaci e, a volte, autoritari ed arroganti; professori
impreparati, oppure assolutisti e dispotici, più interessati al sapere
nozionistico dei propri allievi che non alla loro formazione umana e
professionale. E, per finire, politici corrotti, bugiardi, spregevoli in
qualunque loro manifestazione; ladri, narcisisti, donnaioli di infima
categoria.
Sul versante opposto i modelli
della notorietà: calciatori strapagati con il fisico palestrato e accuratamente
tatuato; rok star dai costumi scostumati e dissacranti; indossatori e modelli
dalla bellezza ricercata e vagamente effeminata (nonostante sia volutamente
maschilista). E poi ancora attorucoli, paparazzi, show man, ballerini,
opinionisti e “tronisti” vari che in un qualche modo hanno occupato la ribalta
pubblica e da lì, con un carisma fondato sull’ignoranza e la presunzione,
dettano le proprie opinioni come se fossero verità rivelate.
In altre parole è come se
l’immaginario delle nuove generazioni fosse colonizzato dal culto della
personalità di omuncoli indegni che della propria vuota avvenenza, del pensiero
senza fondamento, della furbizia e della mancanza di qualunque scrupolo morale
hanno fatto business. Questo è quello che offre il mercato culturale. Sui
banchi dell’immaginario non c’è null’altro se non il successo pubblico ed
economico dell’esaltazione narcisistica. Il rovescio della medaglia è
rappresentato dal fallimento, se non addirittura dall’assenza, dell’Eroe Solare,
del Padre le cui gesta ruotano intorno ai valori dell’impegno personale,
dell’assunzione di responsabilità, dell’affidabilità certa, granitica, fedele
nel tempo… della partecipazione completa fino al sacrificio totale di sé.
Eppure, l’archetipo dell’Eroe
Solare non appartiene solo alla storia del tempo che fu. Non è una leggenda
“datata” dell’epoca mitica. Piuttosto, è una configurazione archetipa
inalienabile, reale e concreta di cui la psiche maschile ha avuto, ha e
continuerà ad avere sempre bisogno. Mille analogie e sfumature la collegano
all’archetipo del Cavaliere che incarna l’interiorizzazione e la difesa di
alcuni valori basilari: quali la purezza, la lealtà, l’onore, l’impegno, la
difesa del più debole e, infine, la fedeltà a una donna amata, ad una causa o a
Dio.
“La cavalleria – scriveva a tal proposito
Chevallier-Geerbrant - dà uno stile alla guerra come all’amore e
alla morte: l’amore è vissuto come
un combattimento, la guerra come un amore e ad ambedue il cavaliere si
sacrifica fino alla morte lottando
contro tutte le forze del male…L’ideale cavalleresco sembra inseparabile da un
certo fervore religioso”
Questi, insomma, erano i
paradigmi sui quali, soltanto fino a poco tempo fa, si modellava la virilità
dei ragazzi durante la crescita… paradigmi che oggi – per tutta una serie di
motivi che sarebbe troppo lungo illustrare – sono precipitati nelle tenebre
dell’inconscio collettivo e individuale.
Il risultato di questa mancanza
sul piano della coscienza ordinaria è che il modello di virilità a cui possono
ispirarsi i ragazzi di oggi nel corso della loro evoluzione non è più quello
della Virilità Olimpica (secondo l’accezione del termine usata da Bachofen)
bensì quello della Virilità Ctonia o Fallico-narcisitica (così ben descritta da
Alexander Lowen).
Molte attuali patologie del
vissuto erotico maschile, pur non originando direttamente da quanto sopra
descritto, traggono tuttavia nutrimento e rafforzamento da questo modello
distorto di virilità.
È il caso, ad esempio, della
sindrome dell’amatore compulsivo che abbraccia tutte le gradazioni che vanno
dal “Casanova” al “Don Giovanni”.
Ora sia chiaro: i primi passi
mossi dai ragazzi in quella che sarà la loro vita adulta futura non possono (e
non dovrebbero) evitare di essere condizionati e spinti dalla Libido – anche in
maniera cieca e violenta – verso la volubilità, l’instabilità e addirittura la
promiscuità delle prime esperienze erotiche. Occorre molto tempo al giovane
uomo per sentirsi sicuro delle proprie capacità virili e per soddisfare la
propria naturale curiosità verso quel “misterioso pianeta” rappresentato dalle
donne. Questa perciò sarà l’epoca “fisiologica” delle mille avventure, degli
incontri mordi-e-fuggi, oppure degli “amori eterni” bruciati nel giro di poche
settimane. Questa è l’epoca della leggerezza nonostante tutto, della novità ad
ogni costo, della passione “a tempo determinato”, della frenesia,
dell’ingordigia, e della voluttà insaziabili.
Ma ciò che è fisiologico a una
certa età diviene patologico ad un’altra… Non c’è ovviamente un limite d’età
vero e proprio ma, in generale, dovremmo immaginare che il fuoco della Libido
dovrebbe pian piano andare scemando di estensione e aumentare invece di calore
e di stabilità. E’ un momento magico nella vita di un uomo o, almeno, dovrebbe
esserlo: è il momento in cui egli dovrebbe saper convogliare il suo
“desiderare” verso un’unica donna che diverrà così il simbolo vivente di tutte
le donne possibili e immaginabili. Verso quest’unica, sola donna dovrebbero
allora potersi dirigere le sue forze di uomo adulto maturando responsabilità,
affidabilità e protezione.
Solo queste qualità realizzano la
pienezza della virilità maschile rivelandosi, a lungo termine, non solo o non
tanto doni benefici per la donna e i figli che li ricevono, quanto piuttosto
motivi intimi e segreti di stabilità, equilibrio e dignità per l’uomo capace di
esprimerli.
È ovvio che – alla luce dei nuovi
tempi - c’è sempre spazio per accorgersi di possibili errori di valutazione, di
scelte avventate, di inganni subiti o di speranze mal riposte. Nell’epoca
dell’anima cosciente, il cammino che conduce all’amore sacro è complesso e irto
di errori. Tuttavia la stella cometa che indica il cammino dell’uomo virile
dovrebbe risuonare della capacità di sacrificare le parti egoiche e infantili
di sé e del naturale desiderio di proteggere gli esseri amati. Solo queste
potenzialità possono giustificare gli eventuali errori commessi e legittimare
il desiderio, ogni volta, di ricominciare una nuova avventura.
Molto spesso, però, non è questo
il caso. Piuttosto gli uomini moderni si attardano nell’età della spensierata
giovinezza cumulando storie, incontri e avventure delle quali è difficilissimo,
se non impossibile, cogliere un qualunque autentico significato. Come ho
accennato all’inizio di questo articolo, l’impulso può derivare sia da un
atteggiamento ludico e giocoso fine a se stesso – come quello che viene
descritto metaforicamente nelle sindromi di Peter Pan e Casanova – e che Jung
ha legato invece all’archetipo del Puer
Aeternus, così come da un atteggiamento compulsivo di rapina e conquista –
come quello espresso dalla figura di Don Giovanni – il quale ultimo, al di
sotto di un evidente collezionismo numerico, mal nasconde un’ansia di
prestazione che rasenta l’impotenza vera e propria. Tra questi due estremi,
tutte le gradazioni possibili e immaginabili che oggi sono rintracciabili nel
vissuto più o meno sconclusionato di molti uomini moderni.
La patologia opposta, almeno per
quello che mi è dato sapere, non risponde ad una nosografia clinica specifica,
anche se presenta un margine di diffusione altrettanto significativo della
prima e sottende una maggiore pericolosità. Per subito intenderci, mi riferisco
qui a quella scissione dell’immagine femminile presente nella struttura psichica
di molti uomini a causa della quale essi distinguono e separano - più o meno coscientemente –
la “brava donna” di famiglia, casta e pura, spesso madre dei propri figli,
dalla donna di piacere e dai facili costumi. La prima forzatamente immaginata virtuosa
e morigerata, interprete di una sessualità “accademica”, inadeguata a
realizzare giochi trasgressivi e priva di qualunque licenziosità erotica. In
pratica una “santa donna” che non dovrebbe neanche lontanamente essere offesa
costringendola a chissà quali capriole.
Queste, piuttosto, sono la
specialità della seconda, la donna di piacere, la meretrice, la sgualdrina
vogliosa, la cui turpe colpa – è incredibile questa fantasia maschile - sarebbe
proprio quella di desiderare le stesse cose che l’uomo desidera e di provare
(anche lei) piacere nel realizzarle. Con ciò, ovviamente, esaltando la voglia e
il desiderio dell’uomo.
Credo che al fondo di questa
ignominiosa “capriola psichica” di alcuni uomini moderni si nasconda, in
verità, una terribile paura dell’eros femminile che, appunto per questo, deve
essere depotenziato e offeso attraverso un pre-giudizio moralistico. La paura
però – si badi bene – non riguarda l’esuberanza o gli eccessi dell’eros
femminile in quanto tali (da questi infatti si viene sedotti), quanto piuttosto
dal fatto che “tutte le donne” possano esprimerli. Questo, infatti, è il
pensiero tremendo: che tutte le donne possano nascondere un’incontenibile
focosità erotica. D’altra parte, un libero riconoscimento e un sano
apprezzamento dell’universalità dell’eros femminile costringerebbe l’uomo a
dover fare i conti con la figura della madre e a riconoscerla – in quanto donna
– portatrice potenziale di quegli stessi impulsi. Questo è il pensiero
inconscio, ma inaccettabile, di molti uomini che – incapaci di portarlo a
coscienza - lo risolvono spesso operando una terribile scissione nel proprio
immaginario.
Da una parte le Madri, caste e
pure, desessualizzate, “angeli del focolare” con le quali si può copulare solo
per mettere “su” famiglia e ottemperare così alle aspettative della Patria o di
Dio; dall’altra parte le “Poco-di-buono”, le donne di malaffare, quelle
“facili” e puttane proprio perché capaci di desiderare il sesso e di provarvi
piacere.
Ed è ovvio, allora, come solo con
queste ultime l’uomo possa lasciarsi davvero andare e mostrare tutta la propria
esuberanza, la propria fantasia, la propria lascivia…
La verità, anche se nessun uomo
“scisso” lo ammetterebbe mai sul piano cosciente, è che la loro stessa
sessualità è ambivalente. E anziché essere sempre percepita da questi uomini
come un’espressione di gioia, di piacere e di rispetto – anche là dove si
esprime nella fantasie più azzardate – si scinde appunto in una “sessualità
sporca” che viene però proiettata sulle donne con cui essi riusciranno ad
esprimerla, e una “sessualità pulita” che viene invece condivisa con le donne
che saranno le madri dei loro figli.
Non è incredibile? Siamo nel
2012… ostentiamo una modernità che sarebbe il risultato di una lunga evoluzione
culturale, politica e religiosa… e alcuni di noi uomini si comportano né più né
meno come i più fanatici dei Talebani. Qualcosa non deve aver funzionato in
occidente se nel mio studio di psicoterapia, soprattutto in questi ultimi anni,
sono sfilati non pochi uomini con manifeste problematiche di questo tipo.
Certo… non sempre la gravità della situazione è ai massimi livelli. Molti
uomini vivono la propria maturità “accontentandosi” delle proprie
donne-mogli-madri dei propri figli e solo occasionalmente si lasciano afferrare
da una qualche tentazione trasgressiva. In apparenza saremmo lontani anni luce
da coloro che, invece, relegano la propria donna in casa e dividono il loro
tempo tra mille e una fidanzate. Ma, appunto, è solo apparenza. In realtà il
tema di fondo è il medesimo: l’incapacità di con-dividere con la propria donna
le fantasie più segrete, i giochi più azzardati, i bisogni più vergognosi. Come
conseguenza di questa mancata con-divisione, la scissione interna ed esterna
dei due partner si allarga e si approfondisce, andando ad interessare ambiti
sempre più significativi di quella che dovrebbe essere considerata una vita in
comunione.
Lentamente, ma inesorabilmente,
gli interessi e i desideri dell’una e dell’altro si andranno diversificando, le
forze migliori dei due partner verranno impiegate per inseguire progetti fin
troppo distanti e alla fine - non sempre, ma molto spesso - i due coniugi,
piuttosto che con-vivere, finiranno per coa-bitare sotto lo stesso tetto. Con
ciò perpetuando la patologia di generazione in generazione: perché l’uomo-padre
tenderà sempre più a scomparire e ad assentarsi dal vissuto dei propri figli
(maschi o femmine che siano... anche se qui ci interessa solo il vissuto dei
figli maschi). Mancherà di trasmettere loro, attraverso le parole, gli sguardi
e i gesti quotidiani, quel sano desiderio che un uomo dovrebbe sempre riversare
sulla propria donna. E i figli così abbandonati, cresciuti da una madre privata
del proprio uomo, dovranno difendersi dalle aspettative incestuose (ancorché inconsce)
che essa proietterà su di loro. Si difenderanno come potranno: spesso scindendo
il proprio immaginario, che si comporrà così di “Femmine caste e pure”,
intoccabili come le proprie madri, e “Femmine lascive”, sulle quali proiettare
la parte migliore e la parte peggiore della propria libido.
Con ciò il cerchio si chiude,
lasciando ognuno dei protagonisti del dramma da solo con i propri fantasmi.
Solo la presa di coscienza dell’uomo divenuto finalmente adulto potrebbe
spezzare il “cerchio malefico”… La presa di coscienza di un uomo che divenisse
perciò capace di esprimere impegno civile, fedeltà ai propri cari e protezione…
ma che non mancasse di fondare tali qualità interiori sulla spregiudicatezza,
sulla curiosità e sul rinnovato desiderio di esplorare insieme alla propria
compagna di vita gli orizzonti infiniti dell’Eros.
Per quanto possa sembrare
incredibile in un’epoca intellettualizzata come quella di oggi, un tale uomo –
che vivesse tali contenuti più che pensarli - non avrebbe bisogno di molte parole
o di chissà quali gesta per educare i propri figli: gli basterebbe essere loro
vicino.