Quante donne davvero belle esisteranno al mondo? Di sicuro molte più di quanto osiamo immaginare. Innumerevoli, in verità, sono “le belle” che circolano per le contrade di questo nostro mondo. Ciò nonostante quante di loro potrebbero vantare quel fascino arcano e magico che da sempre – da che mondo è mondo - ha stregato tutti coloro che vi si sono accostati? Pochissime!
Potrà sembrare un paradosso, ma la bellezza in sé e per sé credo non abbia nulla a che spartire con quella grazia indefinibile, quello charme irresistibile o quell’aura di seduzione che per alcune donne sembra essere un dono di natura. Un incanto magico di cui loro stesse non necessariamente sono consapevoli e che può far impazzire chiunque s’illuda di definirlo e descriverlo poi nelle sue componenti. Chiunque, tranne i poeti.
Istambul è così! Una Principessa d’Oriente con un fascino incomparabile, una grazia irresistibile, un incanto che - pur fondato sull’esotica bellezza delle sue moschee, dei suoi antichi palazzi, dei mercati, dei giardini e delle mura - con quella bellezza non s’identifica. Come una Principessa leggiadra e irraggiungibile essa appare al viaggiatore sensibile e, appunto, con il suo solo apparire, anche senza volerlo, di fatto, lo strega, lo affascina, lo seduce… lo costringe mendicante d’amore ai suoi piedi.
“Ho visto le rovine di Atene – racconta Lord Byron al ritorno da alcuni suoi viaggi – Efeso e Delfi. Ho percorso una gran parte della Turchia, molte parti dell’Europa e anche alcune dell’Asia, ma nessuna opera della natura o dell’arte mi ha impressionato così tento come la vista dei due lati del castello delle Sette Torri fino alla fine del Corno d’Oro”.
Per molti scrittori, infatti, Istambul - insieme a Venezia e Roma - resta una delle più belle città d’Europa e, sicuramente, una delle più splendide dell’Asia.
Forse sarà la luce cristallina che la avvolge, l’aria profumata del Bosforo – impregnata di mare - i colori audaci e nello stesso tempo riservati dei fiori, il suono sommesso delle mille voci che salgono dai mercati o dal ponte di Galata e sul quale si adagiano lievi – provenienti dall’alto - i richiami dei muazin… saranno le cupole delle moschee con i loro slanciati minareti, gli odori dolciastri e piccanti delle spezie, la gentilezza ospitale dei suoi abitanti che nessun occidentale in genere immagina, sarà l’atmosfera rilassata, noncurante, fiduciosa nel proprio Dio: Allah… sarà tutto questo e, insieme a questo, saranno mille altre componenti più difficili da cogliere e identificare… ma resta il fatto che non ho conosciuto turista o viaggiatore che sia tornato da Istambul mostrandosi insensibile al suo fascino.
Ricordo la mia prima volta: proveniente dall’aeroporto, arrivai quasi per caso sulla grande piazza dove – tra giardini fioriti e fontane zampillanti - amichevolmente si fronteggiavano Sultan Ahmet Camii (la Moschea Blu), Ayasofia (Santa Sofia) e il Palazzo di Ibrahim Pashà. Rimasi incantato. Più tardi entrai nella Moschea Blu – la mia prima moschea, nonostante i tanti anni passati nel Nord Africa – e l’incanto si fece intimo, discreto, riservato. Vinse le mille riserve che da sempre, come studioso imparziale, oppongo all’Islam e dilagò nel mio animo creando i presupposti per una più fiduciosa disponibilità.
Poi, ancora, l’armonia delle forme di Santa Sofia (oggi trasformata in museo), il fascino oscuro e sciabordante di Yerebatan Sarayi (la cisterna dalle 336 colonne e le due teste di Medusa), una visita veloce al Palazzo di Ibrahim Pasha… ed ero ai suoi piedi. Sedotto. Abbagliato. Innamorato.
Ma, come ho scritto all'inizio, il suo fascino deriva forse dalla bellezza degli elementi che la compon- gono? Non credo!
Senza voler nulla togliere alle Mura Teodosiane, al Topkapi Sery con i suoi innumerevoli padiglioni, al Ponte di Galata (lo sapevate che il primo a pensare un ponte del genere fu Leonardo da Vinci su incarico dell'allora sultano), a Yeni Valide Camii e a Rustem Pasha Camii, al brulicante Gran Bazar e
Istambul è una città magica, dalla personalità sognante, dal ritmo lento e nostalgico, quasi fosse rimasta incantata nel ricordo del proprio singolare splendore risalente al grandioso impero ottomano. La tristezza sconsolata (huzun) di Istambul è la sua bellezza – sembra sostenere il suo più celebre cantore, Orhan Pamuk – “una condizione della mente che la città ha assimilato con orgoglio” e che nasce dai sogni delusi di grandezza della Turchia moderna, dalle antiche rovine che le case hanno inglobato senza cancellare; dal legno delle vecchie costruzioni che
si annerisce per l’umidità e il freddo. È questo temperamento melanconico, questa rinuncia sognante che fa di Istambul una delle città più belle tra le belle. Quasi fosse stata, un tempo, un’odalisca senza rivali, la preferita tra mille altre concubine. E ora riposasse distesa sul Corno d’Oro, la memoria rivolta al passato, mentre le sirene dei battelli urlano nella nebbia, i gabbiani la sorvolano ad ali spiegate, e i venditori di pesce e di frittelle adescano i propri clienti stonando improbabili ritornelli di moda.
Istambul: come tutte le donne più belle di un tempo, misteriosa, orgogliosa e superba a tratti, ma pur sempre accogliente, dolce, romantica, languida, voluttuosa.
Istambul: che una volta era considerata la “porta magica” tra Oriente e Occidente. Oggi, città incantata, che invecchia rimanendo pur sempre se stessa. Chi può dire quanto ancora questo incanto leggiadro potrà durare?
al piccolissimo, delizioso Mercato Egiziano.
Senza nulla togliere alla poderosa moschea di Solimano il magnifico (Suleymanie Camii) – tozza e maschia all’esterno, accogliente e voluttuosa all’interno - alla Torre di Galata e al popolare quartiere di Beyoglu; senza voler nulla togliere a tutto questo e ai mille scorci del canale del Bosforo che sempre compare tra una vecchia casa di legno e un’altra, rimango convinto che lo splendore e il fascino di questa città poggi sul mistero arcano della “sua individualità”.
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